Anche ad anni di distanza dall’ictus cerebrale è possibile ottenere miglioramenti motori significativi con un trattamento riabilitativo breve, ma intenso. È questo in sintesi il contributo più innovativo di un recente studio nato da una collaborazione tra una equipe di neurologi dell’Università Cattolica di Roma guidati dal prof. Vincenzo Di Lazzaro e colleghi del National Hospital of Neurology di Londra, pubblicati sulla rivista internazionale Clinical Rehabilitation.

L’ictus cerebrale è la principale causa di invalidità in età adulta, in quanto spesso determina difficoltà motorie e cognitive. Nei 6-12 mesi successivi a un ictus, si osserva generalmente un progressivo miglioramento della disabilità che può essere potenziato dalla riabilitazione. Si ritiene comunemente che a oltre un anno di distanza dall’ictus non si possa migliorare ulteriormente e la disabilità residua viene considerata cronica.
Lo studio diretto dal prof. Vincenzo Di Lazzaro ha rilevato che un breve periodo intensivo di riabilitazione, mirato a migliorare la funzionalità del braccio e della mano, risulta efficace anche in persone colpite da ictus diversi anni prima e i miglioramenti raggiunti permangono per mesi dopo l’interruzione della riabilitazione.
L’obiettivo dei ricercatori era quello di mettere a punto un tipo di trattamento che potesse essere standardizzato, cioè in grado di assicurare una certa omogeneità negli esercizi e nelle attività proposte pur essendo condotto da più terapisti, anche in centri diversi, e adattabile a persone con difficoltà motorie di diversa gravità.

Il trattamento è stato sperimentato in 11 persone colpite da ictus da oltre un anno (la distanza media dall’ictus era 3 anni). Prima della terapia riabilitativa ogni soggetto è stato sottoposto a un’ attenta valutazione delle capacità residue dell’arto leso sia attraverso prove di destrezza manuale (utilizzando test quali l’ARAT e il Nine Hole Peg Test) sia valutando le loro capacità in compiti di vita quotidiana. La terapia riabilitativa era costituita da tecniche di shaping (in cui l’obiettivo riabilitativo viene raggiunto attraverso esercizi a complessità crescente in cui il terapista incoraggia e rinforza positivamente il paziente) ed esercizi di rinforzo muscolare. “La terapia era mirata al raggiungimento di obiettivi concreti – spiega il neurologo della Cattolica Di Lazzaro -, stabiliti dopo la fase valutativa, in rapporto alle reali possibilità di ogni malato, e veniva proposta in sedute di un ora e mezzo al giorno, per cinque giorni a settimana, per due settimane. A fine trattamento, in tutti i pazienti si è osservato un miglioramento della funzionalità dell’arto trattato e della sua forza, con evidenti vantaggi sulla vita quotidiana di queste persone, inoltre nelle valutazioni eseguite a tre mesi di distanza dalla fine della terapia tale miglioramento, stimabile nell’ordine del 25% circa, se misurato con la scala funzionale ARAT, era ancora evidente”.

Inoltre, la possibilità di applicare un protocollo riabilitativo “standard” per migliorare la funzionalità dell’arto superiore è molto importante per studiare l’efficacia della riabilitazione e di nuovi possibilità terapeutiche da utilizzare in aggiunta a essa.

Prossimo obiettivo dei ricercatori sarà infatti applicare tale protocollo riabilitativo associato a tecniche elettrofisiologiche in grado di promuovere la plasticità del cervello per valutare se è possibile incrementare le capacità di apprendimento motorio in pazienti con paralisi conseguenti ad ictus.