La ricerca "Processi migratori e integrazione nelle periferie urbane”, promossa dal Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno e realizzata dal dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica di Milano, ha studiato uno degli ambiti in cui il processo di integrazione degli immigrati presenta maggiori criticità: quello delle grandi città e delle loro periferie. La ricerca parte dalla premessa che la presenza di immigrati può innescare o accentuare tensioni e conflitti, che non raramente trovano la loro origine in vecchie e nuove precarietà del tessuto sociale di queste aree. A ciò si accompagna spesso la percezione e il reale rischio di disagio e di insicurezza urbana. Proprio per tali elementi queste zone periferiche si configurano come veri e propri possibili incubatori non solo di devianza ma anche di xenofobia e di mixofobia.

«La ricerca nasce dall’esigenza di dare una risposta all’interrogativo: le nostre periferie urbane possono dar luogo a eventi quali quelli delle banlieue francesi? Come noto, nel 2005 la Francia è stata testimone di una rivolta, i cui protagonisti erano giovani immigrati in gran parte originari delle ex colonie dell’Africa del Nord, ma anche molti giovani originari dell’Africa a sud del Sahara, i cosiddetti black – ha spiegato il direttore del dipartimento e coordinatore della ricerca Vincenzo Cesareo -. C’è da chiedersi: sussiste la possibilità che le rivolte francesi possano predire eventi simili nelle realtà delle periferie italiane, anch’esse spesso contenitori di malessere e disagio sociale?». La risposta non è scontata. L’impegno nel lavoro di ricerca ha come fine proprio l’individuazione di eventuali rimedi per prevenire situazioni limite come quella francese.

«I principali fattori ritenuti causa di queste rivolte sono senz’altro buoni predittori di questo fenomeno: situazioni familiari disagiate, insuccesso scolastico, disoccupazione, bande giovanili, segregazione spaziale, condizioni di vita in agglomerati urbani come quelli delle banlieue, rivendicazione di una piena integrazione nella società francese pur nella preservazione delle radici culturali e religiose d’origine. Sinteticamente, con riferimento alla Francia, i tre fattori principali sono: il degrado sociale, la mancanza di prospettive e la scarsa attenzione da parte delle istituzioni – ha continuato il professore -.  I riscontri empirici emersi dalla nostra ricerca inducono a evidenziare le peculiarità italiane rispetto a questo quadro e a rispondere negativamente alla nostra domanda, almeno per ora. Infatti il disagio e il malessere non sono attualmente tali da far ritenere che nelle nostre periferie sussistano i presupposti che possono generare fenomeni paragonabili a quelli francesi. In primo luogo perché l’espansione delle periferie italiane intorno alle grandi città non ha seguito lo stesso percorso e l’immigrazione ha trovato varie e differenti forme di radicamento sul territorio. In secondo luogo perché in Italia la questione dell’integrazione culturale non si pone ancora nei termini cruciali nei quali si è posta oltralpe. Inoltre, il degrado e l’immigrazione in Italia – pur tendendo a cumularsi - non sembrano ancora coincidere: gli immigrati vivono più spesso nel degrado abitativo ma hanno un accesso al lavoro, seppur non raramente precario, che la prima generazione accetta comunque, perché in ogni caso migliore della condizione nella quale viveva nel paese d’origine. Peraltro, la crisi economica che il mondo sta affrontando forse modificherà anche in Italia questa situazione, con esiti che non è possibile attualmente prevedere».

Che il rischio possa considerarsi scongiurato – almeno per ora - è dunque chiaro, ma ciò non significa che si possa in qualche modo abbassare la guardia. E questo il ministro Maroni lo ha sottolineato più volte durante il suo intervento: «La soluzione deve passare per l’integrazione, perché senza integrazione non c’è sicurezza». Una tesi che il professor Cesareo ha approfondito durante la presentazione dell’elaborato e che si articola in otto punti che fanno della necessità d’integrazione un imperativo da cui non ci si può allontanare. Riassumendoli, emerge la necessità di riqualifica delle aree periferiche perché – come afferma il professore –,  il degrado genera altro degrado. Un esempio è l’affollamento abitativo, fonte di conflitti e difficoltà di convivenza. Nella stessa direzione si muove l’osservazione che spinge alla creazione di una rete di servizi a tutto tondo per far sì che le periferie non diventino dei ghetti dormitorio, ma veri elementi vivi delle città. Ma a tutto deve essere seguito da una rigorosa osservanza delle regole, perché se da un lato ci sono i diritti, questi si articolano a braccetto con i doveri dei singoli abitanti. A tutto ciò comunque deve seguire l’instaurazione di una rete di servizi orizzontali che – come ha sottolineato Cesareo – «deve essere volta alla valorizzazione delle risorse presenti capillarmente sul territorio, spesso in grado di agire non solo nell’ambito socio-assistenziale ma anche in quello culturale, poiché operano soprattutto attraverso relazioni sociali informali e non solamente attraverso meccanismi istituzionali ufficiali».