Quattro milioni d’imprese, alcune modeste altre con fatturati miliardari; molte guidate da pochi componenti, altre con un importante management esterno alla famiglia - in Italia tra le aziende con più di 50 dipendenti, il 68% ha una struttura a controllo familiare - per un fenomeno che persino nei numeri appare complesso, frastagliato e di difficile comprensione. In primo luogo tra gli stessi protagonisti: tra fondatori e eredi prevale l’idea che la propria azienda di famiglia sia un unicum, con la propria forza, il proprio spirito e le proprie difficoltà.
Un sentore per certi versi comprensibile, che però ha il limite di offrire pochi margini d'intervento. Invece, come ha dimostrato lo studio condotto da Cerif  [Centro di ricerca sulle imprese di famiglia dell’Università Cattolica], una classificazione è possibile; l’evoluzione aziendale è codificabile; i rischi e le difficoltà sono molto più prevedibili di quanto si possa credere.

Ciclo di vita imprese familiari

Il campione individuato nella banca dati del Cerved* e la collaborazione con numerose associazioni di categoria, ha permesso di analizzare un ampio spettro di aziende familiari sia in termini di settori di attività (dal tessile al metallurgico, ai servizi), di fatturato, di tipologia (società di persone e società di capitali). Al termine dello studio è stato possibile elaborare una tassonomia piuttosto definita che attribuisce all’azienda di famiglia se non una linea evolutiva “obbligata”, almeno delle tipologie ben delineate – da quella esclusivamente padronale, a quella manageriale sofisticata – e, di conseguenza, una sorta di “ciclo di vita” dell’azienda, dove a ogni step corrisponde un mix di specifiche criticità.

Se le analisi del Cerif avevano già preso in considerazione il “passaggio generazionale”, in altre termini quel momento di forte criticità e discontinuità con tutto il suo portato d'incognite societarie, finanziarie e non da ultimo psicologiche, la progressione dello studio ha permesso di individuare un insieme di ben 40 criticità, catalogabili in macro aree, che ogni azienda familiare, in base al proprio stadio di sviluppo, prima o poi, è destinata ad incontrare.

A Stefano Devecchi Bellini, direttore operativo Cerif, chiediamo qual è il senso di una tale mappatura del rischio? L’azienda familiare è un patrimonio privato e al tempo stesso “pubblico” in quanto rappresenta una delle colonne dell’economia italiana. E se, spesso fa rumore solo la caduta fragorosa di qualche grande dinastia, il folto sottobosco delle imprese di famiglia continua a crescere, secondo logiche precise e a resistere a dispetto delle tante difficoltà. La nostra mappatura del rischio così come l’individuazione del ciclo di vita delle aziende familiari vogliono essere uno strumento a disposizione degli imprenditori per prevedere e affrontare i rischi legati alla conduzione dell’azienda.

Le banche, o comunque i principali interlocutori del family business, come possono utilizzare la “previsione” delle varie criticità? Decifrare un fenomeno così complesso può certamente permettere di studiare e proporre strumenti ad hoc in base allo stadio di sviluppo dell’azienda. Una conoscenza approfondita delle aziende di famiglia presenti sul proprio territorio permette anche di valutare più compiutamente la rischiosità attuale e futura del proprio portafoglio”. “E tuttavia, la difficoltà nel dialogo tra aziende familiari e banca va spesso individuata nella scarsa conoscenza reciproca. Il rapporto dovrebbe essere continuo, così che a fronte di un eventuale passaggio di consegne almeno dal punto di vista finanziario e creditizio la banca possa contare sulla conoscenza delle strategie aziendali e gli eredi possano contare sulla certezza di un rapporto che non deve essere ridiscusso.

Come reagiscono le aziende di famiglia alla richiesta di riflettere sul proprio posizionamento, sui rischi affrontati o percepiti?
La proprietà spesso ha mostrato una certa resistenza a farsi analizzare, un po’ per forma mentis, tutta presa dal dover fare, un po’ perché spesso gli stessi protagonisti hanno una limitata percezione del fatto che un’azienda di famiglia se da un lato è in qualche modo un unicum irripetibile, dall’altra è costretta ad affrontare rischi, criticità e discontinuità di aziende analoghe.

Alla luce delle altre criticità emerse come si colloca la discontinuità determinata dal “ passaggio di consegne”? Rimane ancora il problema dei problemi?
Il risultato dell’analisi ci dice che la mappatura del rischio è molto articolata. Anche tralasciando quello che dalla maggior parte è vissuto come la più delicata discontinuità, in altre parole quel passaggio di consegne che porta quasi il 50% dell’aziende a non resistere alla seconda generazione, è importante far comprendere che le aziende di famiglia devono poter prevedere tanti altri fattori di rischio: dalla difficoltà a trasferire la cultura aziendale al difficile equilibrio tra famiglia e management, dalla ricerca di personale qualificato alla formazione del personale, dalla redditività del business fino alla ricerca di nuovi mercati.

Ma dall’osservatorio privilegiato del Cerif come le azienda di famiglia stanno affrontando la crisi? Gli strumenti comunemente utilizzati sono il taglio di costi, una migliore gestione del magazzino, una diversificazione produttiva dell’export quest’ultima spesso legata all’introduzione in azienda di un erede. Con il duplice scopo di far fare esperienza al figlio su un altro mercato, senza intaccare il mercato interno.


*Cerved B.I. Spa - servizi di informazione aziendale e commerciale