Vietare il fumo sul posto di lavoro migliora la salute dei lavoratori e riduce l’assenteismo per malattia. Non solo. Il divieto assoluto di fumare in azienda contribuisce anche a ridurre il numero di fumatori (passivi). Sono i risultati dello studio The effect of comprehensive smoking bans in European workplaces, condotto dagli economisti Claudio Lucifora, dell’Università Cattolica nonché research fellow dell’Institute for the Study of Labor (Iza), e Federica Origo, dell’Università di Bergamo, che hanno analizzato gli effetti sulla salute nei luoghi di lavoro delle leggi che vietano il fumo in tutti i luoghi pubblici. L’indagine è stata presentata nel corso del convegno dal titolo: The economic and social implications of health and safety at work, che all’inizio di luglio ha raccolto nell’Ateneo del Sacro Cuore una trentina di esperti internazionali, provenienti principalmente dall’Europa.

L’esposizione al fumo passivo è un fenomeno drammatico se si pensa che in alcuni Paesi - Spagna, Portogallo e Grecia - interessa oltre un quarto dei lavoratori (vedi grafico allegato) e che sono oltre 7.000 le persone che ogni anno muoiono di fumo passivo nei luoghi di lavoro nell’Europa a 25, circa il 9% dei 79mila adulti deceduti per l’esposizione al fumo in altri ambienti. I due studiosi hanno messo a confronto i Paesi europei che tra il 2000 e il 2005 hanno introdotto il divieto assoluto di fumare – vale a dire Irlanda, Italia e Svezia – con tutti quelli dell’Unione Europea che non si sono ancora mobilitati su questo fronte. Ne è emerso un quadro interessante che mette in luce come il divieto di fumo nei luoghi di lavoro stia dando risultati positivi non solo dal punto di vista della salute dei lavoratori, ma anche della produttività delle imprese. Dai dati dell’indagine Eurobarometro risulta come la percentuale degli heavy smoker, ossia quelli che fumano in media 20 sigarette al giorno, si sia ridotta. Per esempio in Irlanda è passata dal 39% del 2002 (prima dell’entrata in vigore della legge), al 37% del 2006, mentre in Italia nello stesso periodo è scesa dal 27% al 19%. In Svezia è rimasta invariata (11%). Se si guarda, poi, ai regular smoker, ossia quelli che fumano regolarmente ogni giorno, la percentuale in Irlanda è passata dal 91% del 2002 all’88% del 2006, e in Italia dal 90 al 77%. In Paesi, invece, che non hanno introdotto restrizioni questa percentuale è addirittura aumentata: in Spagna, tanto per citarne uno, ha toccato nel 2006 il 91% contro l’89% del 2002.

Passando ad analizzare nello specifico gli ambienti di lavoro, emerge che la legge ha portato dei benefici alla salute, benefici che i ricercatori attribuiscono direttamente alla sua introduzione. Infatti, sostengono che c’è stata una diminuzione dell’1,5% dei problemi di respirazione dovuti all’esposizione al fumo. Anche l’assenteismo per malattia, in particolare quello causato dai tradizionali malanni invernali, si è ridotto: in media è calato del 2-3%, e fino al 4% nel nostro Paese. Un effetto inatteso della legge tuttavia, secondo gli studiosi, è che il divieto di fumo nei luoghi di lavoro fa salire la probabilità (+5%) che i fumatori siano maggiormente irritabili o possano soffrire di stress sul luogo di lavoro. Un rischio che forse vale la pena correre.