«Tutte le manifestazioni del sacro presuppongono l’esistenza di una via simbolica, poiché il sacro non si manifesta mai allo stato puro». La citazione di Julien Ries è il punto di partenza della riflessione filosofica sulla ricerca dello spirito nella società contemporanea, svolta con il contributo di studiosi d’eccellenza dal seminario internazionale Il Vento, lo Spirito, il Fantasma organizzato dal Centro di Ateneo per la Dottrina sociale della Chiesa, diretto da Evandro Botto, e dall’Archivio “Julien Ries” per l’Antropologia Simbolica, diretto da Silvano Petrosino. Presente all’evento il rettore Lorenzo Ornaghi, che ha sottolineato l’importanza degli studi contemporanei sulla dimensione simbolica che soggiace all’essenza umana e l’importanza dello sviluppo di tale dibattito all’interno della ricchezza culturale dell’Università Cattolica, in un dialogo che non deve perdere di vista il debito che la modernità ha nei confronti della fede.

La lezione di Ries è oggi dunque viva più che mai come ricordato dai protagonisti del dibattito: Yves Coppens, del Collège de France, Paul Gilbert, decano della facoltà di Filosofia dell’Università Gregoriana e il collega Paolo Trianni, Mauro Magatti, preside della facoltà di Sociologia dell’Università Cattolica, Paolo Nicelli del Pontificio Istituto Missioni Estere, Ivan Bargna dell’Università degli Studi di Milano.

Il simbolo antico dello spirito è il vento, sia nell’Antico Testamento, segno del passaggio di Dio, che nel Nuovo, come venuta dello Spirito. Quando il simbolo viene staccato dalla dimensione del sacro, rischia di diventare fantasma, feticcio, degenerazione, in una società che doveva liberarsi dal “religioso” ma che è oggi alla continua ricerca dello spirito. La riflessione di Coppens, Pas d’homme sans symbole, enfatizza proprio il legame dell’uomo con il simbolo che altri non è se non la sua essenza, il passepartout tra l’aldiquà e l’aldilà: l’uomo religioso è lo stesso che i paleontologi descrivono, è lo stesso descritto da Ries; è colui che muta le forme che la natura gli offre a proprio beneficio, mescolando il naturale con l’artificiale. L’esigenza di inserire manufatti cari, ritenuti preziosi, nella bara dei propri morti, usanza che affonda le radici proprio all’origine dell’uomo e alle sue prime manifestazioni di civiltà, è il segno del legame avvertito tra l’immanenza e il trascendente, come di un mondo altro ma che è in qualche modo legato con il nostro quotidiano.

Come sottolineato da Petrosino infatti, l’uomo è sempre un “qui” (finito e mortale) ma è legato imprescindibilmente a un “là” e questo suo legame definisce il suo esistere; è il religioso come struttura dell’umano. La dimensione dell’uomo è quella del “finito”, l’uomo deve collaborare con gli altri elementi che lo circondano per esistere, fra questi il vento, un elemento che viene dall’alto, che arriva all’improvviso, che riparte con la stessa inafferrabilità. La degenerazione nel fantasma è provocata dalla lotta che l’umano attua tra il religioso e le paure e i deliri della propria mente; il fantasma è la corruzione del rapporto tra il qui e il là. Continua Petrosino: «L’affermazione: “non c’è religione” è ottusa perché la religiosità è una dimensione che, in particolare oggi, ritroviamo ovunque, anche se con manifestazioni per lo più feticistiche, da qui il dramma dell’umano».

Il ragionamento metafisico di Gilbert, che ha reso onore al contributo di Virgilio Melchiorre su “Spirito e Analogia”, ha invece posto l’accento sui modi per arrivare allo spirito partendo dalla differenza tra analogia e metafora - la prima come movimento del logos, come pensiero, che ha un movimento verticale, verso l’alto; la seconda che invece istituisce delle differenze muovendosi però nella dimensione orizzontale - e approdando al significato dello Spirito che trova la sua dimensione nelle parole dove appare. L’uomo, limitato, accede al sé nella consapevolezza della fragilità delle proprie espressioni, con lo stesso sentimento d’ineffabilità espresso magistralmente da Dante di fronte a Dio nella Divina Commedia. Il dogma della Trinità invita il filosofo a cercare l’unità in alto, attraverso l’analogia (la circolarità non è un vortice perché ha un Padre, una fonte) che è all’origine della grazia del pensare, proprio dell’umano.

Contingente la riflessione di Magatti, che delinea come conseguenza pratica dello scollamento tra mondo spirituale e secolare la crisi economica che ci troviamo a vivere oggi, che è anzitutto crisi spirituale. Il mondo è incapace di pensare al proprio futuro, l’affidamento totale alla tecnica, che si pensa auto legittima, crea debiti che diventano insanabili: «La crescita economica o è spirituale o non è crescita». La crisi infatti genera paura e conflitti, anche tra il simbolo e l’uomo; conflitti che sfociano nell’aggressività e anche nella distruzione. La società di oggi è quella del consumo, del tempo presente, dell’attimo per l’attimo (e si pensi ai balzi della borsa e alle sue conseguenze), ma l’attrazione verso questo tempo non ci fa cogliere il rinvio, la conseguenza, che è vissuta tragicamente solo davanti alla sciagura.

Tuttavia l’uomo può riscattare se stesso, ha le capacità per reagire alla crisi ricollegandosi allo spirito; se non resta ottuso e sordo allo sgretolamento dei suoi feticci altari moderni sotto la spinta del sacrificio di molti, fino alla catastrofe: quello è il grande dolore da evitare.