Nè bamboccioni né “schizzinosi”. I giovani italiani, per la maggior parte, cercano di non arrendersi alla crisi, ma reagiscono adattandosi a fare ogni tipo di lavoro. Le immagini stereotipate sembrano lasciare il posto a quella di una generazione consapevole delle proprie condizioni, che ha voglia di mettersi in gioco e cerca di reagire positivamente alle difficoltà contingenti. Dalla ricerca dell’Istituto Giuseppe Toniolo, che ha in Ipsos il partner operativo, realizzata in collaborazione con l’Università Cattolica e con il contributo di Fondazione Cariplo, emerge che i giovani sanno adattarsi a una remunerazione più bassa e a un lavoro non soddisfacente come soluzione provvisoria per cercare di superare la crisi evitando così di ingrossare le fila dei disoccupati. Nonostante gli alti tassi di disoccupazione e il deterioramento delle offerte di lavoro, i giovani non sono rassegnati, cercano di reagire come possono, mettendo in campo nuove strategie per fronteggiare la crisi in attesa di tempi migliori.

I dati del Rapporto Giovani ottenuti da un campione di 9mila giovani tra i 18 e i 29 anni consentono di affermare che i giovani italiani non se ne stanno con le mani in mano.

Più del 45% di coloro che lavorano non è soddisfatto del proprio lavoro, ma si adegua accettando stipendi più bassi rispetto a quanto considerato adeguato e si adatta a occupazioni che non rispondono alle proprie aspettative e non coerenti con il titolo di studio (47%). Tra chi ha un lavoro, infatti, solo il 20% è pienamente soddisfatto dell’attuale impiego, mentre oltre il 25% è poco, per nulla soddisfatto. Un giovane su quattro, quindi, pur di lavorare e non rimanere a casa a rigirarsi i pollici, accetta un impiego lontano dalle proprie aspettative. La percentuale di non soddisfatti arriva a un giovane su tre al Sud, dove le opportunità sono generalmente più scarse. Più in particolare, un giovane su due, pur di non rimanere senza lavoro, si adegua a un salario sensibilmente più basso rispetto a quello che considera adeguato.

La ricerca dell’Istituto Toniolo, che sarà presentata ufficialmente giovedì 8 novembre in largo Gemelli, evidenzia che, se si chiede in generale quanto si è soddisfatti della propria situazione finanziaria, prevalgono i non soddisfatti (55%), un valore che rimane elevato anche per i laureati (52%). Se poi analizziamo, per chi ha almeno una esperienza lavorativa alle spalle, il motivo di perdita del primo lavoro, tra chi oggi è senza lavoro, per quasi la metà dei casi, la causa è la scadenza del contratto (46,1%) e comunque meno del 15% ha lasciato l’occupazione perché insoddisfatto del lavoro senza avere altre alternative. Chi lascia il posto lo fa solo se ne ha già trovato uno migliore: la percentuale di chi ha lasciato il primo lavoro per uno nuovo sale a oltre il 35%.

Una quota molto alta, pari al 47%, si adatta a svolgere un’attività che non è coerente con il suo percorso di studi. Il problema della bassa stabilità del lavoro riguarda invece un giovane su tre. Compensa il relativamente buon rapporto con superiori e colleghi. Tra i laureati l’incoerenza tra lavoro e percorso formativo scende al 30%. In ogni caso solo il 33% dei laureati afferma di fare un lavoro pienamente coerente con il proprio percorso di studio. Anche in questo caso i livelli di insoddisfazione e quindi la necessità di adattamento risultano maggiori nel meridione.

Ma lo spirito di adattamento dei giovani va anche oltre i confini nazionali. Infatti, un altro dato che emerge dalla ricerca è che quasi il 50% dei giovani (48,9%) si dichiara pronto ad andare all’estero per migliorare le proprie opportunità di lavoro. Solo meno del 20% non è disposto a trasferirsi. I più propensi a muoversi oltre confini sono i giovani del Nord (si sale oltre il 52%) e di sesso maschile (oltre la metà dei maschi contro un terzo delle ragazze). Inoltre, i più disposti a trasferirsi per inseguire migliori opportunità di valorizzazione del proprio capitale umano sono proprio i laureati, a conferma del rischio di “brain drain”, non solo di “brain waste”, che corre il Paese. La percentuale di chi è disposto a trasferirsi all’estero arriva a oltre la metà tra i maschi.

«Nei giovani italiani - spiega uno degli autori della ricerca, Alessandro Rosina, docente di Demografia e Statistica sociale all’Università Cattolica del Sacro Cuore - è già ben chiara la logica del darsi da fare. Non attendono passivamente che i tempi siano migliori ma hanno già imparato ad affrontare la crisi, mettendo in atto alcune strategie occupazionali e accettando anche salari bassi e impieghi non totalmente soddisfacenti pur di lavorare. La mancanza di politiche incisive in grado di migliorare le opportunità dei giovani, a fronte di continui inviti ai giovani ad adattarsi ulteriormente a condizioni tra le peggiori in Europa, fa deteriorare il grado di fiducia nei confronti del Governo. I giovani che assegnano un voto positivo all’Esecutivo sono appena il 17%: sopra i bassi consensi assegnati ai partiti (7%) ma ben sotto altre Istituzioni come i Comuni (29%) e l’Europa (41%)».