Grazie a una ricerca che si è meritata la copertina di un recente numero di Cancer Research, tra le più importanti riviste internazionali dedicate al cancro, un gruppo di ricercatori del dipartimento per la Tutela della Salute della Donna e della Vita Nascente dell’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma diretto dal professor Giovanni Scambia (foto sotto), in collaborazione con i colleghi del Centro nelle scienze biomediche Giovanni Paolo II della Cattolica di Campobasso, ha consegnato agli oncologi di tutto il mondo le chiavi del funzionamento della più importante sostanza antitumorale oggi in uso.

In un quarto di tutte le terapie chemioterapiche cui si sottopongono migliaia di pazienti ogni giorno è presente una sostanza che si chiama Paclitaxel. Come accade per molti farmaci, finora non si conosceva esattamente quale fosse il funzionamento molecolare di questa sostanza e quindi la ragione profonda che sta alla base della sua comprovata efficacia. Ciò che era noto era che il Paclitaxel interagisce con i microtubuli, le strutture che costituiscono lo “scheletro” della cellula. Questa interazione, che avviene in una fase ben specifica della vita cellulare, è in grado di far scattare l’apoptosi, quel meccanismo cellulare che porta alla morte della cellula. E la morte della cellula tumorale è proprio l’obiettivo della chemioterapia.

Cristiano Ferlini, Giuseppina Raspaglio, Simona Mozzetti, Daniela Gallo, Silvia Barcollino, Lucia Cicchillitti e Giovanni Scambia, assieme ai colleghi di altre università, hanno sostanzialmente scoperto che il Paclitaxel causa un effetto che imita un meccanismo naturale delle cellule, e che è quello provocato dalla proteina Nur77. «Tecnicamente - spiega Ferlini - si dice che il Paclitaxel è un peptidomimetico. Si tratta cioè di una sostanza che imita qualcosa che è già presente nelle cellule dei mammiferi superiori. In pratica ci siamo accorti che è come se nella cellula ci fossero due serrature molecolari identiche, e abbiamo quindi dedotto che ci dovesse essere un’unica chiave».

Per prima cosa i ricercatori sono riusciti a dimostrare che il Paclitaxel, oltre ai microtubuli, ha un secondo bersaglio molecolare all’interno della cellula: la proteina Bcl-2, che in condizioni normali ha un’attività di protezione dalla morte cellulare. Ma che, in seguito al legame con il  Paclitaxel, viene convertita in un fattore capace di innescare proprio l’apoptosi. Una volta fatto questo passo, gli scienziati hanno costruito un modello bioinformatico che ha chiarito che i siti di legame Paclitaxel/tubulina e Paclitaxel/Bcl-2 erano molto simili: le due serrature uguali della metafora dei ricercatori.

«Tra i possibili candidati-chiave per aprire questa doppia serratura - spiega ancora Ferlini - abbiamo scelto Nur77. Si tratta di una proteina che quando la cellula è in difficoltà si sposta dal nucleo al citoplasma, entra nei mitocondri (le centrali energetiche della cellula) e attiva il segnale di morte cellulare». I ricercatori hanno riprodotto al computer la forma della proteina – un compito niente affatto banale – e hanno capito che rispondeva ai requisiti strutturali necessari. Successivamente, sono stati in grado di ricreare i peptidi – pezzi di proteine – che riproducevano proprio la parte di Nur77 a forma di “serratura” e hanno visto che Bcl-2 e il Paclitaxel si legavano proprio agli stessi recettori. In altre parole, i ricercatori in questo modo sono riusciti a dimostrare che il Paclitaxel è un composto capace di indurre lo stesso messaggio di morte cellulare indotto naturalmente da Nur77.

Questa importante scoperta teorica ha dei risvolti concreti molto importanti. «In primo luogo - dice Ferlini - dato che quello di Nur77 è un programma endogeno, come per ogni processo cellulare, esiste anche un processo antagonista, orchestrato da un altro gene. Dunque, quando questo processo che si oppone all’apoptosi naturale delle cellule è attivo, neanche il farmaco esterno può funzionare. «Questo risultato - conclude Giovanni Scambia - apre la strada a un utilizzo selettivo delle terapie contenenti il principio attivo del farmaco solo per quei pazienti in cui questi meccanismi antagonisti non siano attivi. Inoltre così stiamo di fatto aprendo la strada a una nuova generazione di farmaci capaci di  aggirare queste inibizioni». Ma non basta. «La struttura del paclitaxel è baccatinica, cioè il suo scheletro è basato su sostanze che si ricavano dall’albero Taxus baccata, cioè il tasso. La scoperta - conclude il ricercatore - rende possibile studiare altri modi per costruire una molecola altrettanto efficace».