Economie emergenti che crescono a ritmi sostenuti, Paesi industrializzati che sembrano conoscere qualche battuta d’arresto. È questa in sintesi la fotografia scattata dal secondo numero 2010 dell’Osservatorio Monetario, il rapporto quadrimestrale che analizza la congiuntura reale, monetaria e bancaria in Italia e nei mercati internazionali. Realizzato dal Laboratorio di Analisi monetaria dell’Ateneo del Sacro Cuore, in collaborazione con l’Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa (Assbb), l’Osservatorio è stato presentato il 5 luglio. Dopo i saluti introduttivi del presidente dell’Assbb Giuseppe Vigorelli, al dibattito coordinato da Marco Lossani hanno preso parte Giovanni Verga, dell’Università degli Studi di Parma, e i docenti dell’Ateneo Domenico Delli Gatti, Angelo Baglioni e Flavia Ambrosanio. Ha chiuso la presentazione l’intervento di Paolo Manasse, dell’Università degli Studi di Bologna, sul tema: La crisi dei Piigs: a che punto siamo?

L’area euro e la crisi greca. Secondo Giovanni Verga la politica monetaria dell’Eurozona negli ultimi due mesi non ha subito grandi cambiamenti: la Banca centrale europea ha continuato la sua politica di enhanced credit support, volta appunto a garantire un’elevata liquidità alle banche. Unica novità: le polemiche suscitate dalla crisi greca che hanno dimostrato lo scollamento europeo e indebolito la credibilità della politica centrale europea. «Abbiamo assistito a una trattativa lunga prima di arrivare a un piano di salvataggio», ha sottolineato Angelo Baglioni, soffermandosi proprio sull’atteggiamento dei Paesi dell’area euro nei confronti del dramma greco. Il risultato finale? «Un piano di sostegno che impone una correzione complessiva di 11 punti percentuali del Pil entro il 2010, con l’obiettivo di riportare il rapporto deficit/Pil al di sotto del 3% nel 2013».

Restano, però, alcuni dubbi. Dal punto di vista del professor Baglioni, infatti, siamo di fronte a misure che col tempo potrebbero rivelarsi inefficaci e controproducenti. Questo perché le correzioni adottate sono così rigorose, da risultare poco credibili e creare crisi politiche e socio-economiche senza precedenti. Come se non bastasse in questa manovra alcuni governi, in particolare quello tedesco, hanno concentrato l’attenzione soprattutto sul rischio della speculazione finanziaria, finendo per trascurare altri aspetti, quali il contagio ad altri Paesi dell’area euro (Portogallo, Irlanda, Italia, Spagna, raccolti nell’acronimo Piigs insieme alla Grecia) e la fragilità delle banche.

Che fare, allora? «La situazione creatasi con l’esplosione della crisi greca - ha suggerito il professor Baglioni - impone un ripensamento complessivo dell’architettura istituzionale europea alle luce di tre obiettivi fondamentali: ridurre le divergenze strutturali di produttività tra i Paesi; definire in anticipo i meccanismi per gestire situazioni di emergenza nell’area euro e, infine, creare condizioni istituzionali relative al coordinamento delle politiche fiscali per ridurre al minimo le possibilità che si ripresentino crisi del debito sovrano come quella in corso». Anche perché, ha fatto eco Domenico Delli Gatti, la politica fiscale costituisce uno degli strumenti principali per garantire la stabilizzazione macroeconomica. Con l’avvertimento, però, di non puntare a un controllo centrale sul bilancio pubblico di uno Stato. «Sarebbe auspicabile – ha precisato Delli Gatti – centralizzare le scelte di bilancio piuttosto che il bilancio pubblico. Ma per fare ciò occorre un rilancio coraggioso dell’integrazione politica».

L’Italia e la manovra 2011-2013. Il dibattito, si è poi spostato sulla finanza pubblica italiana, con l’intervento di Flavia Ambrosiano, curatrice dell’ultimo capitolo dell’Osservatorio monetario dedicato proprio al tema dei conti pubblici. Che nel 2009 rivelano un evidente peggioramento rispetto all’anno precedente. Secondo la docente, infatti, le entrate complessive si sono ridotte dell’1,9%, la pressione fiscale è aumentata, mentre a sostegno del gettito hanno agito interventi una tantum, che hanno portato vantaggi di breve periodo. In più, sono aumentate le componenti della spesa primaria, quest’ultima spinta anche da un incremento delle spese per la Difesa, raddoppiate nel 2009. Nel 2010 il quadro non si presenta molto diverso. Quanto alla manovra di correzione che investe il triennio 2011-2013, restano numerosi dubbi. «Per esempio il fatto che il 90% delle entrate sia affidato ai processi di accertamento delle imposte e alle misure di lotta all’evasione fiscale - ha chiarito la professoressa Ambrosiano -. Un aspetto a dir poco contrastante dal momento che queste misure arrivano dopo una serie di condoni». C’è poi incertezza, ha aggiunto la docente, sulla voce risparmi: negli anni passati i tagli alle spese non hanno mai sortito gli effetti desiderati. E ancora, desta preoccupazione la stretta sugli enti locali, che dovranno recuperare altrove le entrate, in attesa dell’arrivo del federalismo. Infine, l’obiettivo del potenziamento dello sviluppo di infrastrutture si scontra con il taglio alle spese di investimento (pari a circa i tre miliardi di euro nel triennio). Non solo. Appaiono problematiche anche alcune misure concernenti la “fiscalità di vantaggio” per le imprese del Mezzogiorno. Queste, infatti, prevedono l’azzeramento dell’Irap nei confronti di nuove iniziative produttive. Resta pertanto difficile capire in che modo le Regioni possano trovare nei bilanci compensazioni a queste misure. Le ombre, dunque, sovrastano gli spiragli di luce. Ma è il prezzo che l’Italia deve pagare per gli sprechi del passato.