«L’Italia e la Cina sono chiamate a fare tesoro della loro antica conoscenza ed esperienza del mondo per operare insieme a favore di un nuovo modello di sviluppo di relazioni internazionali, cooperative e non competitive», con queste parole il Rettore dell’Università Cattolica Franco Anelli ha introdotto il webinar Cinquant’anni di relazioni tra Italia e Cina (1970-2020), organizzato dall’Istituto Confucio dell’Ateneo.
L’amicizia tra i due Paesi si radica in una rete storica millenaria, fondata anche sulla data del 6 novembre 1970, quando a Parigi venne firmato il comunicato per il ristabilimento delle relazioni diplomatiche. Fu in quella sede, come ha ricordato Marina Sereni, vice ministra per gli Affari Esteri e la Cooperazione Internazionale, che «Roma e Pechino riannodarono il filo delle relazioni tra governi». Un cinquantennio di dialogo, scambio di conoscenze e traffici commerciali che si celebra però in un anno drammatico. «È proprio nella difficoltà che si testa la solidità di un rapporto», ha affermato la vice ministra, sottolineando il sostegno reciproco nel corso all’emergenza sanitaria. Una riflessione di solidarietà condivisa anche dall’ambasciatore della Repubblica popolare cinese in Italia Li Junhua: «Apertura, inclusione, apprendimento reciproco e scambio di esperienze possono divenire la fonte duratura di un progresso condiviso e uno sviluppo dell’amicizia per i popoli di tutti i Paesi».
Il rapporto tra i due Stati coinvolge più temi. Da un lato quello della relazione culturale, che secondo la professoressa Laura De Giorgi dell’università Ca’ Foscari di Venezia «ha sempre rappresentato per la Cina il fondamento della relazione con il mondo esterno. La cultura diviene lo strumento per affermare il proprio peso, al di là della potenza economica». Tra gli esempi, l’insegnamento della lingua italiana in Cina e di quella cinese in Italia, la traduzione e la promozione del patrimonio artistico, la collaborazione accademica e la tutela dei beni culturali. Di enorme rilevanza anche l’interscambio commerciale tra il 1970 e oggi, analizzato dalla professoressa Lala Hu, docente di Marketing dell’Università Cattolica, sia in termini di variazione import/export che della capacità imprenditoriale italiana e cinese nei due Paesi.
Ma la relazione solo economica non è sufficiente. Per Massimo Iannucci, ambasciatore italiano a Pechino tra il 2010 e il 2013, «nel rapporto manca una cornice di dialogo politico e di approccio culturale». E secondo Alessia Amighini dell’ISPI, se «l’Europa corre il rischio di essere terreno di scontro tra Cina e Stati Uniti, l’Italia ha con la Cina una relazione diversa dagli altri Paesi europei, sia per i legami storici che poiché meno dipendente e interessata alle relazioni solo commerciali». Una visione condivisa anche da Guido Samarani, docente all’università Ca’ Foscari di Venezia, che ha affermato che «l’Italia può rappresentare oggi un ponte nel rapporto tra Cina ed Europa e Asia ed Europa».
Nella valutazione delle sfide di oggi e domani è necessario però partire dal passato. E Gabriele Menegatti, ambasciatore italiano in Cina dal 2003 al 2006, ritiene che tre siano state le fasi dello sviluppo: «dall’età dell’oro, in cui l’Italia, per una Cina che aveva bisogno di tutto, era uno dei Paesi leader», a fasi successive tra luci e ombre politiche. Fino a oggi. «Il nuovo piano quinquennale cinese investe molto in tecnologia», ha spiegato il giornalista Simone Pieranni. «La Cina sarà leader dell’AI ed è fondamentale che si possa arrivare a un ecosistema informativo che tenga conto della complessità, raccontando il Paese senza pregiudizi».
Oltre ai temi, sono emersi anche i protagonisti. Da Papa Francesco che, ha spiegato Elisa Giunipero, direttore con Dong Lijun dell’Istituto Confucio, «ha espresso la speranza della costruzione della pace come sfida comune e di un dialogo che “non è ricerca di un compromesso, ma è camminare insieme anche se non si è d’accordo su tutto», a Matteo Ricci, citato dal presidente Xi Jinping nell’ottica del rapporto tra Santa Sede, Italia e Cina. Tra le figure chiave anche Vittorino Colombo e Giorgio La Pira, «intellettuale cattolico che aveva intuito che la strategia politico-militare occidentale era insufficiente per giungere a quell’obiettivo, in cui lui credeva, di attrarre tutti i popoli in un comune disegno di pace e che aveva compreso il ruolo preminente della Cina», ha spiegato il professor Agostino Giovagnoli, docente della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Ateneo e moderatore dell’evento.