"Forse oggi i sondaggi sono un poco sovrastimati". Detta da Nando Pagnoncelli, direttore Ipsos Public Affairs e tra i principali sondaggisti italiani la frase sembra suonare stonata, ma è solo un apparente paradosso usato per spiegare come, negli ultimi anni, si sia diffuso un uso distorto dei sondaggi da parte, soprattutto, del mondo politico.
Relatore lo scorso 22 novembre al seminario “Ruolo della dieta mediatica degli italiani nella formazione delle opinioni" organizzato da Smea, Alta Scuola di management ed economia agroalimentare della Cattolica di Cremona, Pagnoncelli ha spiegato l'importanza delle opinioni e della loro formazione e di come nella nostra società "liquida" e dall'alto tasso di volatilità di giudizi e idee, fare sondaggi sia oggettivamente più difficile che in passato. Sondaggi che per loro natura sono un importante strumento di lettura delle tendenza della società e dei movimenti di fondo che la animano.
Ma a mettere sotto stress e soprattutto a snaturare valenza e significato del sondaggio d'opinione è stata la politica. Parola di Pagnoncelli.
Negli ultimi anni vari fattori, e in particolare la caduta del muro di Berlino e Tangentopoli, hanno creato volubilità e frammentarietà elettorali, fenomeni ai quali si sono sovrapposte la personalizzazione dell'offerta politica e una certa propensione al populismo, un mix che ha portato i principali partiti e leader politici all'adozione delle tecniche tipiche del marketing aziendale per affrontare le sfide elettorali.
Da qui la principale spinta all'uso distorto dei sondaggi, che da un lato devono sempre più diventare strumenti di previsione con caratteri quasi divinatori sugli umori degli italiani, e dall'altro lato – il più corrosivo, come ha sottolineato Pagnoncelli – vengono usati come strumenti di comunicazione. Dunque si cerca di enfatizzare, nei risultati, la tesi che si vuole accreditare a ogni costo. Oppure li si accompagna con una comunicazione mirata che alimenta paure e tende a raggiungere elettori incerti e mobilitare cittadini delusi; anche attraverso l'influenza che i sondaggi possono avere sui media. Emerge così un'altra distorsione dell'uso dei sondaggi sottolineata da Pagnoncelli, che diventano sempre più di parte, tanto che spesso si sente dire "i nostri sondaggi dicono"; "i loro sondaggi sbagliano" ecc.
Tutto ciò ha alterato e depotenziato uno strumento invece prezioso, che dovrebbe essere posto proprio al servizio dell'informazione corretta e, in fondo, della democrazia. Cosa serve per riequilibrare la situazione? “Intanto chi fa questo mestiere dovrebbe manifestare una maggiore tensione deontologica ed etica, per non piegare i numeri a pressioni di parte” ha detto Pagnoncelli agli studenti Smea concludendo il suo intervento. “Poi sarebbe auspicabile una maggior prudenza anche da parte dei committenti politici dei sondaggi, per limitarne, se non evitarne, l'abuso. Infine servirebbe un ritorno all'opera di mediazione che è proprio degli organi di informazione, che non a caso si chiamano "media".