Come la pandemia può cambiare la politica, l’economia e le relazioni internazionali? Questa la domanda al centro del terzo webinar del ciclo “Stato di emergenza. Discussioni sulla politica sospesa al tempo del virus”. Ad animare il dibattito, moderato da professor Damiano Palano, i politologi Emidio Diodato, docente di Politica internazionale all’Università per Stranieri di Perugia, e Alessandro Campi, docente di Scienza politica all’Università di Perugia, editorialista e curatore del libro Dopo. Come la pandemia può cambiare la politica, l’economia, la comunicazione e le relazioni internazionali (Rubbettino Editore).
Quest'ultimo ha tentato di dare una risposta quando è apparso chiaro che la pandemia avrebbe avuto un impatto pervasivo sulle nostre vite. Ad oggi, il tono pessimista caratterizzante la sua riflessione si è dimostrato coerente con quanto accaduto. La tensione prodottasi a livello sociale e internazionale si è infatti concretizzata in parte in una sindrome complottista facilmente prevedibile.
«In tempi di crisi – ha spiegato Campi - il bisogno pressante di dare un senso a fenomeni che non si riescono a spiegare nella loro complessità lascia campo libero ai cosiddetti “imprenditori del caos” che, agevolati dalla forza propulsiva di strumenti tecnologici facilmente accessibili, rispondono ad una necessità di rassicurazione attraverso l’individuazione di capri espiatori».
«Il problema – ha aggiunto – sta nel fatto che, tanto gli scienziati quanto le istituzioni internazionali non si sono dimostrati all’altezza di fornire chiavi di spiegazione del reale più semplici e maggiormente plausibili, capaci di combattere, smontandolo, un complottismo diventato ormai una mentalità sempre più difficile da sradicare».
Il fallimento delle istituzioni internazionali e il conseguente crollo della fiducia in esse sono stati sottolineati da Emidio Diodato, politologo esperto di geopolitica e politica estera italiana: «Questo a causa della perdita di credibilità subìta da un lato dall’Oms, tacciata dagli Usa di coinvolgimento in un complotto orchestrato dalla Cina per la diffusione del virus dall’altro dall’Onu, in seno alla quale il tema della pandemia, quale problema di sicurezza internazionale, non è stato neppure discusso dal Consiglio di sicurezza che non ha adottato alcuna risoluzione sul punto».
Secondo Campi la scarsa capacità operativa delle istituzioni internazionali fa da contraltare ad una riacquisita centralità da parte dello Stato, sicuramente uno dei maggiori effetti politici e culturali della pandemia, destinato a perdurare nel lungo periodo.
«È necessario però – ha aggiunto Campi - che la fiducia ritorni centrale soprattutto nel rapporto con le istituzioni. Attraverso queste è infatti necessario che gli Stati recuperino la capacità di collaborare tra loro in politica internazionale; l’alternativa è, come afferma Diodato, una “politica di potenza” che nessun attore oggi sarebbe in grado di sostenere, neppure gli Usa».
In questo contesto il grande tema della politica contemporanea riguarda gli Stati Uniti che ormai non hanno più il ruolo di una volta: «Gli “Usa multiculturali” - ha spiegato Campi - hanno funzionato finché “c’era qualcuno che era più uguale degli altri”; la crisi della tolleranza attuale ci restituisce pertanto l’immagine di un Paese altamente diviso e polarizzato, in cui i conflitti tra molteplici gruppi portatori di diverse istanze si riflettono irreparabilmente sulle istituzioni, concretizzandosi in un’incapacità di dialogo tra le due forze politiche tradizionali che non riescono più a mettersi d’accordo sui valori fondamentali».
E con questo chiunque vinca le presidenziali in corso dovrà fare necessariamente i conti. «Gli elementi di continuità, in caso di vittoria di Biden, saranno, secondo Diodato, maggiori degli elementi di discontinuità. La rinuncia al multilateralismo sarà meno radicale, ma è certo che il ripiegamento sui problemi interni avverrà a discapito dell’interventismo».
Guardando alla Cina, invece, ci si è chiesti se l’efficienza dimostrata nella gestione della crisi pandemica, la renda un modello alternativo vincente. Secondo Diodato ciò è da escludere: «La Cina, la cui crescita è dovuta principalmente alla globalizzazione, si troverà infatti in difficoltà nel gestire i processi di deglobalizzazione innescati dalla pandemia e dovrà necessariamente ricorrere a nuove strategie».