«Non vogliamo abbandonare i social, vogliamo esserci in modo responsabile». La direttrice del Giornale di Brescia Nunzia Vallini torna così sulla temporanea rinuncia del suo quotidiano a Facebook. «Non stiamo scappando di fronte al nemico – continua –. Il nostro “lockdown” è una risposta a un algoritmo che premia gli odiatori seriali e che dovrebbe cambiare».
All’annuncio dello scorso 17 novembre è seguito sin da subito un acceso dibattito, che ha fatto così rumore da richiamare l’attenzione anche del colosso di Mark Zuckerberg: «Una rappresentante di Facebook ci ha contattato per capire le nostre ragioni e magari trovare una soluzione. Poi bisognerà vedere quanto abbiano interesse ad aprire un’interlocuzione con i giornali, e questo è un altro grande tema».
«Ora la sfida è recuperare il traffico – afferma Vallini – e intendiamo farlo essendo ancora più puntuali nelle informazioni di servizio, facendo più approfondimento, riutilizzando le risorse giornalistiche che prima moderavano i commenti su Facebook e che ora sono galvanizzate da questa decisione». I giornali non dovrebbero esaurirsi nei social, la direttrice ne è convinta: «Tutti li usiamo, ma sono degli strumenti. Eppure si sta capovolgendo il paradigma, si sta dicendo che se un'azienda editoriale non è sui social non esiste. Sarebbe bello dimostrare che non bisogna essere per forza lì, che esiste un modo diverso».
Chiudere Facebook, però, non vuol dire smettere di conversare con i lettori. Il Giornale di Brescia è da sempre attivo nella sua comunità reale. Negli scorsi mesi, fra le tante iniziative, è riuscito a convogliare circa 18 milioni di Euro a sostegno delle Rsa della provincia: «Ci facciamo tramite delle domande e dei dubbi dei nostri lettori con le istituzioni. Se abdicano al loro ruolo di intermediazione, i giornali locali hanno smesso di vivere».
Sulla scelta del Giornale di Brescia si sono espressi diversi esperti di comunicazione, social e giurisprudenza. Per Ruben Razzante, docente di Diritto dell’informazione, si tratta di «un gesto dimostrativo che può avere la sua utilità se aiuta a comprendere che la Rete non può e non deve essere una giungla. Bisogna favorire il matrimonio tra giornalismo e social, dove il primo mantiene salda la sua identità professionale, ma i secondi gli consentono di esaltare la sua dimensione interattiva».
Non bisogna dimenticare la sfida educativa che presentano i social. Secondo Razzante sarebbe opportuno «fare corsi di educazione digitale fin dalla scuola dell’obbligo. Il rispetto della personalità altrui attraverso il Web è un valore che va trasmesso alle nuove generazioni».
I problemi principali che individua sono due: la diffusione di bot e l’irresponsabilità giuridica delle piattaforme. «Occorrerebbe che gli algoritmi permettessero di smascherare situazioni che spesso sono virali. Per frenare alla radice questi abusi è necessario che i colossi del Web e gli editori collaborino. La pena prevista dal Codice penale per chi crea account falsi è di un anno di carcere, come previsto dall’art. 494», specifica, riferendosi alla prima problematica. Sulla seconda invece afferma: «Bisognerebbe modificare la legislazione a livello quantomeno europeo e stabilire delle regole precise che vincolino le piattaforme a intervenire. È loro interesse eliminare meno contenuti e account possibili, ma ciò compromette la loro credibilità a lungo andare».
«Secondo me Nunzia Vallini ha fatto bene», afferma Nicoletta Vittadini, docente esperta di comunicazione e social media. Poi prosegue: «Quella del Giornale di Brescia è una provocazione forte che ha evidenziato il problema degli insulti online. Se però tutte le testate facessero lo stesso, sarebbe una resa».
«Non credo che alla ripresa degli aggiornamenti questa tipologia di commenti sparirà – sottolinea ancora –. Probabilmente le strategie da adottare sono diverse; forse il community manager e il suo lavoro di moderazione dei commenti dovrebbero essere maggiormente valorizzati. Anche la presenza della testata stessa all’interno dei commenti è fondamentale: non deve schierarsi, ma contribuire a depotenziare la crescita del dibattito polarizzato, intervenendo con alcune precisazioni. La moderazione della community potrebbe essere affidata a un giornalista, perché ci vuole la capacità di argomentare, precisare, avere le fonti, essere in grado di interloquire. Anche questa può essere una strategia».
Di questo avviso è anche Valerio Bassan, digital strategist esperto di editoria e autore della newsletter Ellissi: «La cosa peggiore che un giornale può fare è rispondere in modo piccato, ma ancora peggio è non rispondere affatto. Per far sentire inclusa la community bisogna creare una catena di valore che dimostri di poter ascoltare, valutare e nel caso pubblicare i contributi degli utenti».
«È vero che Facebook ha dei limiti nella qualità delle conversazioni – ammette Bassan – ma è necessario riuscire sempre a gestirle, senza sottrarsi. Se ci si vuole differenziare dai competitor ci si deve posizionare con una voce forte nella propria community e difenderne gli interessi. Questo tipo di interlocuzione può avvenire ovunque, non solo su Facebook, ovviamente. Se dopodomani i social non ci fossero più per qualche ragione, la conversazione dovrebbe continuare».