Dalla Malvasia rosa all’Ervi, incrocio di Barbera e Croatina, dalle uve del Vin Santo di Vigoleno (Santa Maria, Melara, Bervedino) alla riscoperta del Barbesino per i vini frizzanti.
Vitigni autoctoni “minori” e vitigni “di territorio”, preziosi alleati per uno sviluppo sostenibile nell’era del cambiamento climatico. L’analisi delle opportunità che oggi si aprono con il recupero di questi vitigni è al centro di un progetto avviato dalla Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell'Università Cattolica.
“Il piano è dedicato alla viticoltura della provincia di Piacenza e alla biodiversità viticola del territorio dei Colli Piacentini – spiega l’assegnista di ricerca Tommaso Frioni – dove le aziende vitivinicole si trovano oggi a fronteggiare da un lato le problematiche di vigneto imposte dal cambiamento climatico, dall’altro un mercato moderno che non favorisce più un’adeguata remuneratività delle produzioni.I vitigni autoctoni più rappresentativi del territorio piacentino soffrono particolarmente l’innalzamento delle temperature e l’instabilità climatica. I due vitigni a bacca bianca più diffusi, Ortrugo e Malvasia di Candia aromatica, presentano infatti un’elevata precocità di maturazione e una veloce degradazione degli acidi organici, caratteristica esacerbata dalle estati calde e siccitose e tratto particolarmente negativo nell’ottica delle produzioni tipiche. Allo stesso modo, tra i vitigni a bacca nera, Barbera presenta uve assai suscettibili a scottature e disidratazioni, mentre Croatina presenta un’elevata alternanza di produzione. La standardizzazione varietale del comprensorio limita la competitività e la redditività delle produzioni, che soffrono a loro volta di un prezzo al consumatore relativamente basso, se confrontato con areali vitivinicoli limitrofi”. “L’obiettivo generale del progetto sarà il miglioramento della competitività della viticoltura piacentina mantenendone intatte l’identità e le tradizioni. Vitigni autoctoni, minori o di territorio si pongono oggi come risorse uniche per l’identificazione di nuove tipologie di prodotto identitarie – prosegue Frioni – sfruttando la diversa resilienza dei genotipi a disposizione alle mutate condizioni ambientali, nonché mettendo a punto protocolli gestionali volti a massimizzare il valore aggiunto delle produzioni basate su di essi. Purtroppo oggi sono pochissimi gli ettari con vitigni autoctoni minori e molti di essi sono soggetti ad un alto rischio di erosione genetica”.