L’ictus compromette frequentemente la funzione motoria di una metà del corpo. In alcuni pazienti nel corso dei mesi successivi all’evento cerebrale si verifica un progressivo recupero motorio, che può essere anche completo. Altri malati con infarti cerebrali di paragonabile entità non migliorano nonostante la riabilitazione. Da cosa dipende il recupero? È possibile prevederlo fin dai primi giorni dopo l’esordio della malattia? In uno studio, pubblicato sulla rivista internazionale “Cerebral Cortex”, un gruppo di ricercatori del dipartimento di Neuroscienze dell’Università Cattolica-Policlinico Gemelli di Roma, guidati dal professor Vincenzo Di Lazzaro, ha messo a punto un test in grado di predire precocemente il recupero della funzione motoria dopo ischemia cerebrale, misurando la capacità del cervello di modificarsi in risposta a stimoli esterni.
Nello studio, presentato a Torino nel corso del IX Congresso nazionale della Società italiana per lo studio dello Stroke (SISS) pazienti affetti da ischemia cerebrale sono stati sottoposti, a un test neurofisiologico in grado di valutare la plasticità del cervello, una caratteristica alla base dei fenomeni di memoria, apprendimento e di recupero dopo una lesione cerebrale. Si tratta di un test indolore e non invasivo, che si esegue valutando le modificazioni di eccitabilità della corteccia cerebrale motoria indotte da una stimolazione magnetica ripetitiva ad alta frequenza della stessa area cerebrale. Tali modificazioni di eccitabilità rappresentano una misura della plasticità del cervello.
I ricercatori hanno applicato questo test a 17 pazienti affetti da ischemia cerebrale nei primissimi giorni dopo la comparsa dei sintomi. I risultati dello studio hanno dimostrato che, quanto maggiore è l’incremento di eccitabilità indotto dalla stimolazione sull’emisfero cerebrale colpito dall’ischemia, tanto maggiore sarà il recupero motorio, misurato con una scala di invalidità, a sei mesi di distanza dall’ictus. Pertanto le modificazioni di eccitabilità osservate in fase acuta sembrano rappresentare un indice affidabile del potenziale di recupero del cervello colpito da ischemia cerebrale.
«Le informazioni fornite dal nostro studio – commenta il neurologo della Cattolica Di Lazzaro - hanno non soltanto una rilevanza prognostica in fase precoce, ma possono rappresentare uno strumento utile per misurare gli effetti di nuove strategie di trattamento farmacologico-riabilitativo per l’ictus». Secondo i ricercatori, infatti, tale test neurofisiologico potrebbe essere utile per valutare l’impatto di trattamenti farmacologici o riabilitativi sulla plasticità cerebrale e pertanto sui meccanismi che portano al recupero. Inoltre, la conoscenza di tali meccanismi apre interessanti prospettive terapeutiche basate sulle stesse tecniche di stimolazione cerebrale transcranica, utilizzate in associazione con la riabilitazione, con l’obiettivo di incrementare il recupero della funzione lesa.