La nuova edizione critica del Barbiere di Siviglia, l’opera forse più famosa di Gioachino Rossini, è stata presentata lo scorso 4 novembre da Philip Gossett (nella foto) nell’aula magna dell’Università Cattolica nell’ambito delle iniziative promosse dal corso di laurea in Economia e gestione dei beni culturali e dello spettacolo dell’ateneo. Gossett, musicologo americano, grande esperto d’opera, docente alla University of Chicago dal 1968, è considerato uno dei più autorevoli studiosi di Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti e Giuseppe Verdi. La nuova versione curata da Gossett è scaturita dallo studio di tutti i manoscritti di Rossini, non partendo, quindi, da versioni successive e già rimaneggiate. La novità non è tanto la presenza del testo sotto gli spartiti, già proposta nel corso di questi duecento anni, ma l’accortezza di riportare anche arie e cavatine mai stampate prima, proprio perché nessuno si è mai preso la briga di cominciare proprio da ciò che il pesarese scrisse di suo pugno.
Rossini, come spiega Gossett, seduto al pianoforte dell’aula magna, ebbe sempre il pregio di inserire nelle opere solamente ciò che serviva davvero, mostrando di saper scegliere: è per questo che tutto all’interno delle sue composizioni si tiene, ha un senso preciso. Il musicologo, passando a presentare la nuova edizione critica, mette in luce alcune caratteristiche specificamente rossiniane, fili rossi che hanno guidato il progetto. «Le opere di Rossini spesso scaturivano dalla sua penna in differenti versioni, tutte meritevoli di essere rese disponibili – spiega -. A seconda di chi dovesse portare in scena i suoi personaggi, infatti, scriveva versioni specifiche, atte a valorizzare (più spesso ad accontentare) l’interprete. Alcune di queste opzioni non sono mai state stampate, mentre in questa nuova versione vengono riportate tutte, non solo quelle manoscritte». In un’appendice specifica, infatti, sono presenti tutte le versioni proposte tra 1816 (data della prima al Teatro Argentina a Roma) fino al 1850, con indicati il cantante, il luogo e il giorno dell’esibizione.
Nella nuova versione è anche incluso, fatto mai avvenuto prima, tutto il testo declamato in prosa (non recitato, si badi) proposto tra 1818 e 1857 nei piccoli teatri di Napoli. Don Bartolo in queste occasioni si esprimeva in dialetto napoletano. Rossini propose questa versione solo nei teatri minori: nei grandi non s’azzardò mai. Un’altra novità: nella prima metà dell’Ottocento, esisteva una tradizione per cui i cantanti erano soliti introdurre qualcosa di personale in ogni loro personaggio, improvvisando arie più o meno inerenti all’opera, spesso nemmeno dell’autore: «Stampando questi pezzi - spiega - diamo un esempio delle possibilità esistenti. Questo ci aiuta anche nel comprendere qualcosa di più sul modo di pensare dell’epoca, suggerendoci una modalità d’approccio».
Ultima chicca: nel Barbiere è presente anche un’aria del Sigismondo, opera senza successo e ben presto dimenticata. «Nel 1819 – racconta – Rossini era a Venezia per il Barbiere. Il suo soprano, primadonna di razza, chiese al musicista di comporle un‘altra aria, non accontentandosi di ciò che già le spettava. Rossini mediò la situazione non creando qualcosa di nuovo, ma riprendendo un’aria del Sigismondo, adattata a un soprano. Siamo i primi a stamparla».
Per chi storcesse il naso davanti a tutte queste novità, va sottolineato che l’opera è stata creata partendo dal presupposto che fosse possibile apportare qualsiasi modifica necessaria, fermo restando, però, che ogni variazione rientrasse nel ventaglio di opportunità del Rossini 1816.