Lo scorso 26 ottobre in Sala Negri da Oleggio la facoltà di Giurisprudenza e l’Istituto giuridico hanno promosso l’incontro dal titolo: "Per ricordare Francesco Realmonte nel primo anniversario della scomparsa". Sono intervenuti Lorenzo Ornaghi, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, Giorgio Pastori, preside della facoltà di Giurisprudenza, Carlo Castronovo, direttore dell’Istituto giuridico e docente di Diritto civile, Paolo Tosi, docente di Diritto del lavoro presso l’Università degli Studi di Torino, e Sinibaldo Tino, avvocato cassazionista. Nel corso dell’incontro è stato presentato il volume “Hominum causa constitutum. Scritti degli allievi in ricordo di Francesco Realmonte. Pubblichiamo l’intervento del direttore dell’Istituto Giuridico.
di Carlo Castronovo *
Francesco Realmonte fu un uomo retto, che in tedesco si dice richtig, che a sua volta in italiano si traduce giusto. Dico questo non per un estemporaneo gioco di parole, ma con l’intenzione di esprimere un’idea precisa a riguardo di Lui: che cioè Egli incarnò alla perfezione la sintesi tra il suo essere uomo e il suo essere giurista. Se il diritto vero è soltanto il diritto giusto, secondo il titolo celebre di Rudolph Stammler, il giurista vero è colui che opera per l’elaborazione di un diritto giusto, coerentemente adottandone l’idea nel proprio agire di uomo tra gli uomini. E questo fu Franco Realmonte.
Egli seguì fino in fondo i dettami della Scuola di Luigi Mengoni, la quale nel suo Maestro così ha concepito la missione del giurista: di chi è al servizio del diritto e perciò della società nella quale il diritto deve svolgere la sua funzione formante, di elemento cioè che alla società dà forma; di un giurista che ius dicit come lo storico che intenda rispettare i fatti per ciò che sono o che a esso onestamente appaiono: sine ira ac studio; senza prevenzione o partito preso, ma con la pacatezza di chi è consapevole che nel conflitto di interessi al quale la regola giuridica deve dare assetto ciò che venga aumentato nella sfera giuridica di uno dei contendenti risulta sottratto all’altro onde tutto deve avvenire nel rispetto delle ragioni di ciascuno.
In questa Università Realmonte trascorse grandissima parte della sua carriera, prima come studente di Giurisprudenza, poi come assistente alla cattedra di Diritto civile e di Luigi Mengoni, poi come incaricato di Istituzioni di diritto privato nella Facoltà di Economia e infine in quella di Giurisprudenza, dalla quale fu chiamato nell’anno accademico 1978-79, dopo avere insegnato la stessa materia nell’Università di Parma e, successivamente, nell’Università di Torino. Passato a insegnare Diritto civile nell’anno accademico 1982-83, vi tenne corsi dedicati al contratto e alle successioni, che hanno contribuito sicuramente in misura rilevante alla formazione dei suoi studenti e in particolare di quelli che, numerosi, vennero aggregandosi di anno in anno alla sua Scuola, attirati dalla lucidità di pensiero e dal tratto naturalmente paterno che sempre caratterizzò il rapporto con i suoi allievi. Come la sua famiglia, anche la sua Scuola fu numerosa; e non per caso, ma per un suo sotterraneo convincimento, che nasceva da una naturale condiscendenza nei confronti della vita, alla quale non si contrappose mai, ma che sempre accettò con una fede naturale che le cose hanno una loro logica che sempre le porta a compimento. Di questo tutti i suoi allievi gli sono stati sempre grati, come testimonia il volume che oggi dedicano alla sua memoria nel primo anniversario della scomparsa. Di essi alcuni sono già in cattedra nonostante che la sorte non abbia consentito a Lui di essere protagonista e promotore dei loro successi, a riprova di quanto appena prima dicevo: che le cose acquistano un loro passo e vanno senza che sia necessario scalmanarsi e sgomitare perché, come potremmo commentare evangelicamente, cosa giova all’uomo l’aver guadagnato il mondo intero, se poi ha perduto se stesso o s’è procurata la dannazione (Luca, 9, 25)?
La sua pacatezza e la sua misura segnarono i nostri anni di colleganza nella Scuola di Luigi Mengoni prima, in questa Facoltà di Giurisprudenza poi, disposti come fummo sempre a sorridere della diversità dei nostri temperamenti, perché sapevamo che comunque non ci potevano essere tradimenti.
Di qualche scritto fummo anche coautori. Una volta addirittura insieme al nostro Maestro, in tema di riforma del diritto di famiglia, della quale si era ritornato a parlare dopo la legge del 1975; e Lui ed io soltanto, proprio in onore del nostro Maestro, quando organizzammo il convegno di presentazione degli Scritti in suo onore il 28 aprile 1995. In questa seconda occasione scrivemmo separatamente le nostre parti. Ma Lui volle che fossi io, che avevo composto il paragrafo iniziale dando cornice all’intero, a darne lettura nel corso del Convegno che fu anche il nostro addio accademico a Luigi Mengoni. A sua volta Egli aveva già scritto insieme a Mengoni la voce Atto di disposizione, apparsa sulla Enciclopedia del diritto. Essa nella sua stesura finale uscì dalla penna di Mengoni, come Franco una volta mi disse, ma certo fu oggetto di elaborazione da parte di ambedue gli autori. Ed è significativo che Mengoni, in una materia alla quale era proclive per la palestra fattane nella sua monografia più celebre, L’acquisto a non domino, avesse invitato il suo allievo a collaborare con Lui.
In occasione di un convegno del 1992 dedicato all’intermediazione mobiliare Realmonte consegnò agli atti un intervento dedicato alla fase precontrattuale. Di esso i punti salienti sono almeno due: anzitutto l’idea che il Rahmenvertrag o contratto cornice, che io avevo individuato nella legge, e che ha ricevuto poi avallo in dottrina e giurisprudenza, proprio in quanto volto a disciplinare in anticipo i rapporti tra intermediario e investitore, poteva essere a propria volta ricondotto alla categoria più consueta del contratto normativo. Il secondo punto, a mio avviso più rilevante, si riferisce alla tesi che Realmonte formula nei termini di ‘non pleonasticità dell’art. 1338’. Una volta formulata nell’art. 1337 la norma generale, sembra che l’art. 1338, che disciplina oramai solo una specie, risulti appunto pleonastica. La tesi sostenuta dall’autore è invece nel senso che gli obblighi di informazione che si radicano nella buona fede precontrattuale devono essere sempre osservati e, ove violati, generano responsabilità.
Ma l’opera per la quale Francesco Realmonte ha acquistato una precisa collocazione nella civilistica italiana della sua generazione è sicuramente Il problema del rapporto di causalità nel risarcimento del danno, pubblicata nel 1967. In essa, anzitutto, Egli mette a frutto la sua forza logica, che nella nostra Scuola per giudizio unanime costituì la sua caratteristica saliente. Mi limiterò a darne qualche breve estratto, che serva a spiegarne il valore.
Anzitutto il titolo si rivela riduttivo rispetto all’effettivo contenuto dell’opera. Basta infatti leggere le prime righe per rendersi conto che lo spettro dell’indagine è più ampio e corrisponde, come lo stesso autore ci dice, al ‘problema del rapporto di causalità nella responsabilità civile’ (p. 1). Solo molte pagine in là affiora il problema della c.d. causalità giuridica che, da un lato costituisce l’aspetto della causalità che è specifico della responsabilità civile rispetto alla responsabilità penale.
Ma prima di affrontare tale questione Realmonte si cimenta con i grandi temi della causalità in senso proprio, quella del rapporto tra un fatto imputabile e un evento lesivo. Su questo piano Egli si volge a condurre l’indagine con un percorso proprio che, se da un lato non può non tenere conto della letteratura penalistica, dal confronto con quest’ultima fa emergere una meditazione sul rapporto di causalità che valga per i due fronti dell’illecito, quello civile e quello penale, questa volta però dalla prospettiva civilistica. Ogni volta che se ne presenta l’occasione, infatti, l’Autore mette a frutto la riflessione generale sul terreno del diritto civile, con ciò dimostrando, quasi senza avvedersene, come una riflessione sulla causalità avesse senso autonomo pure in diritto civile.
In proposito vanno annoverate anzitutto le precisazioni sul concetto di danno e la distinzione di quest’ultimo dall’evento naturalistico. Tra evento naturalistico e danno non sta una relazione causale, come si afferma quando si dice che il danno è conseguenza dell’evento naturalistico. Sul punto Realmonte osserva è che «il legislatore non può creare il rapporto di causalità…dove un tale legame è naturalisticamente da escludere» (p. 84). In effetti, come Egli conclude, il danno «altro non è che la valutazione sul piano economico della distruzione o del deterioramento del bene» (p. 85).
La precisazione circa il significato di danno serve a chiarire altresì il concetto di lucro cessante: esso consiste nella valutazione economica di una situazione che non si è verificata in conseguenza del verificarsi della situazione creata dall’inadempimento o dal fatto illecito (p. 92): «un evento negativo: ad esempio la non avvenuta stipulazione di un contratto al quale l’ordinamento avrebbe ricollegato effetti favorevoli per il patrimonio di un soggetto» (p. 93). In proposito osserviamo che la differenza tra interesse c.d. negativo e interesse c.d. positivo, che allora sembra svanire, c’è non sul piano formale, ché sempre di danno emergente e lucro cessante si tratta, ma su quello sostanziale: sono diversi cioè i presupposti materiali ai quali la formula va riferita nella responsabilità precontrattuale e rispettivamente in quella per inadempimento.
La causalità omissiva, tanto per fare l’ultimo cenno a un’opera che andrebbe ripercorsa tutta intera, rappresenta l’argomento forse più ricco e significativo nella trattazione di Realmonte. Contro l’idea che l’omissione, come puro non accadere, non può essere causalmente rilevante onde è solo l’obbligo giuridico a porre in essere il fatto la cui mancanza costituisce l’omissione a rendere quest’ultima rilevante, Realmonte afferma vigorosamente la portata causale dell’omissione (p. 73), rispetto alla quale l’obbligo giuridico antagonista, volto a provocare la condotta che non si realizza, si limita a rendere l’omissione giuridicamente rilevante (p. 72). Negare funzione causale all’omissione è solo frutto di un’idea metafisica della causalità, che contrappone le cause positive, quali espressione di forze che si sprigionano e danno vita a determinate conseguenze, e le cause negative, che sarebbero la mera assenza di ciò. Sennonché la teoria moderna della causalità non concepisce più quest’ultima come «un legame esistente in rerum natura (p. 74); dunque la natura del legame che si instaura tra le condizioni positive…e (rispettivamente) le condizioni negative e l’evento…è identica: in entrambe le ipotesi (tale legame) è attuato dall’intelletto umano, è puramente logico» (p. 75 s.).
La monografia sulla causalità, che la circostanza ci obbliga ora ad abbandonare, costituisce il contributo maggiore che Francesco Realmonte ci ha lasciato sul piano scientifico; tale da costituire un classico nella nostra letteratura. Ma ancora più importante è quello che Egli ci ha dato con la Sua vita, il Suo esempio, la Sua amicizia. Di tutto questo continuiamo a esserGli grati.
* direttore dell’Istituto Giuridico