di Gualtiero Bassetti *
Mi è gradito porgere i più cordiali saluti al Magnifico Rettore Prof. Franco Anelli, all’Assistente Ecclesiastico Generale, S. E. Mons. Claudio Giuliodori (e ai confratelli vescovi presenti), al Preside della Facoltà di Medicina e chirurgia, Prof. Rocco Bellantone, al nuovo Direttore Amministrativo, Dott. Paolo Nusiner, ai Prorettori e ai Presidi, ai Docenti, agli studenti, al personale tecnico amministrativo della sede, al Presidente della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli, Dott. Giovanni Raimondi, al Direttore Generale, Prof. Marco Elefanti e a tutto il personale sanitario ivi operante, alle autorità civili e militari presenti.
Dopo aver condiviso la Celebrazione Eucaristica, con cui abbiamo aperto questa giornata affidando al Signore le fatiche e le gioie dell’attività accademica, desidero esprimere, a titolo mio personale e di tutto l’Episcopato italiano, la più sentita vicinanza a questa importante istituzione accademica a cui la Chiesa guarda con ammirazione, seguendola con affetto e premura. Nel rivolgervi qualche breve pensiero in occasione di questo solenne atto accademico, dopo gli interventi del Rettore e del Preside che hanno illustrato l’impegno e le attività dell’Ateneo in questa sede, vorrei soffermarmi su due aspetti di rilevante attualità per la missione dell’Università Cattolica.
In primo luogo vorrei richiamare l’importanza del servizio educativo svolto dall’Ateneo. Fin dalla sua origine, infatti, P. Gemelli ha pensato l’Ateneo come un luogo dove i giovani vengono accompagnati in un percorso di formazione integrale e non solo nell’apprendimento tecnico-scientifico. Se questo approccio era valido nei decenni passati, oserei dire che ai nostri giorni lo è ancora di più. Davanti al progressivo affievolirsi dei tradizionali riferimenti educativi, dalla famiglia alla scuola fino alle diverse realtà di aggregazione giovanile, la comunità ecclesiale sente, con maggiore gravità e urgenza, la necessità di farsi prossima nei confronti delle nuove generazioni. A partire dal Concilio Vaticano II è certamente cresciuta l’attenzione verso i giovani, ma è tale la complessità della sfida educativa che Papa Francesco ha sentito l’esigenza di rinnovare e rendere ancora più intenso l’impegno nei loro confronti.
L’indizione, la celebrazione e le conclusioni del Sinodo dedicato ai giovani ne sono una chiara testimonianza. Le parole con cui il Santo Padre non si stanca di esortare i giovani al discernimento, allo slancio generoso, alla creatività e alla santità per occupare il posto che spetta loro nel Mondo e nella Chiesa, sollecitano tutta la comunità accademica ad intensificare e rafforzare l’impegno per dare ai giovani gli strumenti e gli ambienti più idonei alla loro crescita umana, cristiana e professionale. L’Ateneo dei cattolici italiani, ha saputo interpretare con operoso dinamismo e indubbia competenza la passione educativa della Chiesa verso le nuove generazioni mettendo in campo una proposta formativa che oggi si colloca ai vertici dell’eccellenza accademica del Paese. E per questo tutta la Chiesa italiana e l’intero episcopato vi sono grati e riconoscenti.
I giovani assieme alle loro famiglie riconoscono e apprezzano l’offerta formativa dell’Ateneo. Da tutto il Paese arrivano giovani che guardano all’Università Cattolica del sacro Cuore come ad una opportunità straordinaria per la loro vita e la loro formazione. Basta pensare alle tante migliaia di giovani che concorrono per accedere alle poche centinaia di posti disponibili per i corsi di laurea in questa Facoltà di Medicina e chirurgia. Un tale apprezzamento, certamente meritato e incoraggiante, richiede da parte di tutti ancor più consapevolezza della sete che c’è, tra i giovani e non solo, di una scienza unita alla sapienza, di una ragione illuminata dalla fede, di una professionalità che non sia mai disgiunta dalla solidarietà. Per molti aspetti il cammino che si è realizzato in questa sede romana, dove ha preso forma quello che Gemelli amava definire il “sogno della vita mia”, ci dice quanta strada è stata fatta, ma anche quanto grandi sono le sfide che i giovani devono affrontare.
Vi incoraggio pertanto a rinnovare e rafforzare il vostro impegno nella consapevolezza che per educare servono maestri che siano anche e soprattutto testimoni, come insegnava Paolo VI: «L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Evangelii nuntiandi, n. 41). Per molti giovani, che sono alla ricerca di senso e di ideali per la loro vita, l’incontro con professori preparati e motivati può essere decisivo per la loro maturazione e il loro discernimento vocazionale. Quanto grande è la vostra responsabilità, cari docenti, e quanto bene potete fare nel progresso della scienza e, soprattutto nella responsabilità educativa. Non deludete i giovani con insegnamenti fatti senz’anima e passione o con stili di vita contraddittori. Se oltre alle alte competenze scientifiche, saprete trasmettere valori autentici, umani e cristiani, e senso vero dell’esistenza, vi saranno riconoscenti per tutta la vita. Alla formazione integrale degli studenti concorrono poi in modo determinante gli ambienti in cui i giovani vivono e attraverso cui sono accompagnati nella crescita umana e spirituale. Penso, in particolare, al progetto educativo dei vostri Collegi in campus, veri luoghi di educazione e maturazione comunitaria, alle attività del Centro pastorale, coordinate dall’assistente Ecclesiastico Generale e dai sacerdoti che sono nominati direttamente dalla Presidenza della CEI proprio per questo servizio, alle numerose iniziative di volontariato e di solidarietà realizzate a Roma, nel nostro Paese e in varie parti del mondo.
Che la sfida educativa, sia al primo posto, nella missione della Chiesa ce lo ricordano l’Esortazione apostolica post-sinodale Christus vivit, che non manca di far riferimento al ruolo fondamentale delle Università Cattoliche (Cfr. n 222), la prossima Giornata mondiale del 14 maggio dedicata a “Ricostruire il patto educativo globale” e anche quanto il Papa Francesco ha detto lo scorso 9 gennaio al Corpo diplomatico: “Ogni cambiamento, come quello epocale che stiamo attraversando, richiede un cammino educativo, la costituzione di un villaggio dell’educazione che generi una rete di relazioni umane e aperte. Tale villaggio deve mettere al centro la persona, favorire la creatività e la responsabilità per una progettualità di lunga durata e formare persone disponibili a mettersi al servizio della comunità”.
Un secondo punto su cui vorrei richiamare l’attenzione è la cultura della sanità. La domanda di salute è al primo posto nelle aspettative della popolazione così come la spesa pubblica in ambito sanitario è tra le più rilevanti. In questo contesto la Facoltà di Medicina e chirurgia con il suo Policlinico Universitario a cui si aggiungono i corsi di laurea in economia sanitaria, rappresentano un riferimento importante. E non solo per la comunità accademica. In questa sede romana dell’Ateneo si formano medici, personale sanitario ed economisti di un settore tra i più importanti in ordine al bene pubblico e alla vita del Paese. Dobbiamo essere grati al Signore per la competenza scientifica e il rigore morale di coloro che hanno contribuito allo sviluppo di questa realtà ma dobbiamo essere anche consapevoli di aver ereditato uno straordinario presidio di cultura sanitaria in cui formazione, assistenza, ricerca scientifica e buona amministrazione concorrono in modo organico a fare di questo luogo accademico-sanitario una eccellenza del Paese.
Il mondo della sanità, come ben sapete, vive tensioni molto forti e in alcuni casi laceranti. Dobbiamo gestire la rapidità dei progressi tecnologici e scientifici che generano grandi aspettative ma spesso risulta difficile tradurli in prassi assistenziale per gli alti costi e anche per la rapidità delle stesse innovazioni. Così come il tema della sostenibilità della spesa sanitaria diviene ogni giorno più complesso e alimenta la tentazione di rompere quel patto di solidarietà nazionale che fa della sanità uno degli elementi di maggiore equità nel Paese. Il rischio di una sanità a più velocità e di servizi differenziati per aree geografiche è già, purtroppo, una triste realtà per molti. Lo dimostrano i dati sulla mobilità sanitaria e sulla rinuncia a curarsi per motivi economici e carenza di servizi da parte di molti, soprattutto anziani. Non meno preoccupante è l’affermarsi di una visione radicalmente individualista ed eugenetica dell’esistenza che porta a relativizzare il bene della vita, soprattutto nelle fasi iniziali e in quelle terminali, e oggi anche di fronte a condizioni di vita non ritenute degne o sostenibili.
Il recente dibattito attorno a fatti di cronaca e agli interventi della Corte Costituzionale mettono in evidenza l’assoluta necessità di un confronto culturale e di scelte coerenti in ambito sanitario che sappiano garantire la deontologia della professione medica e nello stesso tempo riconoscere la dignità di ogni vita umana tutelandola dal concepimento al suo termine naturale. È davvero alto il rischio di trasformare la professione medica da un esercizio di responsabilità deontologica focalizzato sul servizio alla vita e alla salute ad un’attività di mera “prestazione d’opera” a richiesta del paziente. È compito primario e ineludibile per un Ateneo cattolico dare il proprio contributo affinché l’approccio al tema della sanità avvenga all’interno di una cultura della solidarietà e della collaborazione tra medico e paziente, nell’ottica dell’alleanza terapeutica, evitando di scivolare nelle derive pericolose di una visione eugenetica ed eutanasica, o peggio ancora in quella che Papa Francesco non esita a definire “cultura dello scarto”.
È quanto ci ricorda ancora il Santo Padre nel Messaggio per l’ormai prossima Giornata mondiale del malato: “La vita va accolta, tutelata, rispettata e servita dal suo nascere al suo morire: lo richiedono contemporaneamente sia la ragione sia la fede in Dio autore della vita. In certi casi, l’obiezione di coscienza è per voi la scelta necessaria per rimanere coerenti a questo “sì” alla vita e alla persona. In ogni caso, la vostra professionalità, animata dalla carità cristiana, sarà il migliore servizio al vero diritto umano, quello alla vita. Quando non potrete guarire, potrete sempre curare con gesti e procedure che diano ristoro e sollievo al malato” (Messaggio XXVIII Gionata Mondiale del Malato, 11 febbraio 2020).
Una tale deriva può essere contrastata solo da una cultura della sanità che al contrario sappia valorizzare il dialogo tra medico e paziente nell’ottica di un benessere complessivo della persona malata che non è mai riducibile alla sua cartella clinica o un codice collegato ai protocolli di ricerca. È necessario sviluppare una ricerca scientifica che non sia fine a se stessa e non usi il paziente come cavia, ma nella comune tensione al bene personale e sociale diventi prassi condivisa ed eticamente qualificata. Il grande sviluppo in questo ambito e il prestigioso riconoscimento del Policlinico Universitario Gemelli come Irccs (Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico), chiedono a ciscuno di voi e a questa istituzione di dare in questo campo della ricerca avanzata una testimonianza esemplare e luminosa. Non meno, serve una economia sanitaria che sappia definire modelli di sostenibilità nell’introduzione delle innovazioni tecnologiche e di equità nell’accesso alle cure. Se tutto questo da sempre ha ispirato il lavoro accademico e assistenziale in questa sede dell’Ateneo in un panorama culturale sostanzialmente condiviso, oggi una tale visione appare meno scontata. Servono pertanto scelte lungimiranti che sappiano alimentare una autentica cultura della sanità sia per il buon funzionamento in questa realtà sia per dare un contributo alla riflessione in atto nel Paese.
Costruire una visione culturale che nel contesto odierno si ponga a servizio dell’essere umano e del bene comune non è impresa semplice né di pochi. È necessario poter contare sul contributo di tante competenze diverse e sulla capacità di agire in sinergia. È questa la grande missione di un Ateneo cattolico che ha saputo camminare al passo con il Paese in questi primi cento anni della sua storia fornendo un’alta testimonianza di che cosa significhi coniugare passione educativa, ricerca scientifica e terza missione con le istanze di una fede che nella logica dell’incarnazione non ci estranea dalla storia, ma ce ne rende semmai ancor più artefici e protagonisti.
Il Signore benedica il vostro lavoro e vi doni sapienza e coraggio per esser sempre all’altezza della missione che vi è stata affidata. La Chiesa italiana, oggi non meno del passato, vi è grata e vi accompagna con stima, affetto e fiducia.
* cardinale, presidente della Conferenza episcopale italiana, arcivescovo di Perugia – Città della Pieve