La pandemia provocata dal Coronavirus ha assunto dimensioni epocali e ha inciso profondamente su ogni aspetto dell’esistenza umana, da quello sanitario a quello economico, da quello psicologico a quello sociale, modificando il senso di sicurezza e insicurezza nella vita quotidiana.

Da qui l’idea di chiamare sociologi e esperti di diverse aree di studio per il XIV Laris day, promosso da Maddalena Colombo, direttrice del centro di ricerca, che quest’anno ha affrontato il tema “Come percepiamo e come reagiamo al senso di insicurezza”.

«Nella società odierna i rischi vengono minimizzati per venire incontro a un bisogno di sicurezza quasi assoluto – afferma Colombo. In questi mesi la pandemia ha messo in rilievo il principio di pericolo e di insicurezza. Questo tocca diversi aspetti: sicurezza dall’essere o no protetti da un sistema di welfare (ci fa sentire più sicuri); la percezione della criminalità o illegalità e ciò che riguarda i nostri ambienti quotidiani».

Per Marco Lombardi, direttore del Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica, il post si deve progettare nel durante: «Mi trovo spesso negli hot spot e so che dobbiamo essere proattivi. Dobbiamo delineare oggi quello che vogliamo formalizzare nel post. La pandemia è la crisi per eccellenza, è stata un enorme sorpresa in termini di conoscenza e un acceleratore di processi preesistenti. È la prima emergenza globale dove non ci sono “non vittime”; non c’è una zona save e questa ha fatto saltare tutti i piani. La pandemia prospetta un futuro diverso, con opportunità che sconvolgono tutte le routine ed è un’occasione di crescita in molti contesti».

Bisogna dimenticare il post come ritorno allo stato precedente perché siamo passati da un’esperienza dirompente che non possiamo cancellare, ma che va interiorizzata, metabolizzata e utilizzata per una strategia che impedisce il ritorno allo stato precedente.  Ci vorrà tempo perché dobbiamo progettare e costruire il futuro. La strategia del post emergenza non è quella di adattarsi al nuovo ecosistema che invece dobbiamo dirigere. Massimo Tedeschi, moderatore dell’incontro, è tornato ai giorni dell’emergenza che ha toccato in modo particolare le città di Brescia e Bergamo, ricordando come i giovani si siano fatti carico della situazione così come i sindaci diventati nuovi leader e i medici. Un territorio che improvvisamente si scopre fragile, ma che trova la forza per reagire con grandi slanci di generosità e di impegno.

Di welfare e confini mobili ha parlato Edoardo Barberis, docente all’università di Urbino. “Il Covid ha messo in rilievo come il welfare faccia parte di un sistema anche globale”. Il criminologo Stefano Padovano ha affrontato il tema dell’insicurezza di fronte al crimine e si è chiesto se ci sia un punto che tiene insieme questa con il contagio dal virus: «Certamente la scarsa fiducia negli esperti e il rifiuto di dati oggettivi non aiuta. Anche per quanto riguarda l’emergenza, la sicurezza e il controllo serve investire sull’uomo poiché mancano risorse umane che sappiano governare i nuovi strumenti di videosorveglianza».

A Ilaria Marchetti, docente di sociologia del territorio, il compito di parlare della fragilità familiare che è fortemente aumentata durante la pandemia.  Essa ha offerto più tempo per stare in famiglia, ma ha anche svelato o potenziato crisi e difficoltà. Hanno portato la loro testimonianza anche il presidente dell’ordine dei medici di Brescia Ottavio Di Stefano e l’assessore del comune di Brescia Walter Muchetti.