Come si sta a scuola dopo il Covid, o meglio, dopo l’esperienza della Didattica A Distanza (DAD) adottata in risposta alla situazione pandemica che ha investito la nostra società?

Da questa domanda hanno preso avvio i lavori dell’EAS DAY 2020, la giornata di studio dal titolo "Ben-Essere: la scuola dopo il Covid" dedicata alla formazione dei docenti, organizzata dal Cremit - Centro di Ricerca sull'Educazione ai Media all'Informazione e alla Tecnologia e che si è svolta il 23 ottobre.

In questi giorni, dove alcune regioni stanno rivalutando la Didattica A Distanza per le scuole superiori, torna forte la riflessione su come affrontare e con quali azioni definire il nuovo approccio all'insegnamento.

Piercesare Rivoltella, direttore del Cremit, prendendo spunto dagli autori americani White e Saday, ha preferito iniziare la riflessione su cosa è opportuno non fare e su come imparare a governare l’inatteso. ”Non affidarsi a progetti ben conosciuti, all’uso della gerarchia nella presa di decisioni perché agire così non consente di pensare all'imprevisto e sposta l’attenzione su altro. Per la scuola, ad esempio, non bisogna impostare tutto sulla base dell’alternanza e distanza, ridurre tutto a un discorso di presenza e assenza dove la presenza è il valore e la distanza il ripiego, sicurezza quindi e insicurezza. La scuola è solo questo? Non c’è dell’altro? Questa è una scorciatoia cognitiva, così come concentrarsi esclusivamente sulle procedure come la quarantena, la sanificazione, le mascherine, la febbre. Nessuno si chiede cosa resta della scuola, che esperienza propone quest'ultima?”

La riflessione poi si sposta su come governare l’ "inatteso" adottando cinque principi, come: sviluppare preoccupazione rispetto agli eventi critici, promuovere consapevolezza della nostra vulnerabilità, resistere alla semplificazione e incoraggiare gli schemi di riferimenti alternativi; favorire il brain storming d’istituto e un’unica piattaforma per la didattica; potenziare la comunicazione interna con web cafè, blog per arrivare ad un’organizzazione che parla; sviluppare impegno alla resilienza, cioè ampliare i repertori delle conoscenze, favorire lo scambio di esperienza, si deve arrivare ad un’organizzazione in perenne formazione. Infine, serve rispetto per le competenze, un’organizzazione flessibile e capace di ascolto, poiché non è detto che le competenze stiano solo in alto.

Un assetto capace di reagire deve mettere al centro auto-innovazione, innovazione didattica, comunicazione interna, formazione e valorizzazione delle competenze. C’è la necessità di passare da una scuola della normalità e della ripetizione a una scuola dell’inatteso. Bisogna essere pronti per l'avvento di quest'ultimo. Ed è proprio da qui che parte la riflessione del filosofo Adriano Fabris per ribadire che per far fronte alle nuove situazioni la scuola deve insegnare a gestire l’imprevisto perché è solo un’illusione quella secondo cui le tecnologie ci permettono di avere tutto sotto controllo.

«La didattica a distanza non può essere intesa come un rimpiazzo di quella in presenza, ma un’opportunità che deve servire ad integrare ques'ultima» ha precisato Fabris. «E aggiunge che il benessere a scuola con la pandemia è peggiorato perché I’Italia è poco cablata, mancano i tablet, gli spazi dove studiare. Lo spazio si è ristretto, le nostre relazioni fisiche sono state rinviate dentro una dimensione digitale. Il tempo ha cambiato la nostra vita, si è fatto informe, polverizzato, ci siamo concentrati sull’attimo e ciò ha provocato disorientamento. Se il tempo delle relazioni si eclissa, se siamo schiavi della servitù volontaria, abbiamo un tempo che non ha più continuità nella nostra vita. Tutto è vissuto nell’attimo, quindi per recuperare il benessere dobbiamo recuperare il tempo».

Cosa possiamo fare? Si deve tenere conto dei cambiamenti, delle tecnologie non solo come mezzi ma come ambienti che ci cambiano. Quindi occorre insegnare ai nostri studenti come interagire, con quali dispositivi, favorire la consapevolezza critica. Essere consapevoli che la didattica digitale non rappresenta una sostituzione ma un’aggiunta a quella in presenza e per questo bisogna trovare il giusto equilibrio.

Ma come stanno gli adolescenti? Quanto li ha cambiati la pandemia? Per Matteo Lancini, psicologo e direttore del centro della Fondazione Minotauro di Milano «durante il lockdown hanno sofferto meno rispetto ai più piccoli, poichè già abituati alla digitalizzazione. L’incertezza sul futuro è tipica del preadolescente; infatti il suo disagio non dipende dal passato ma dal fatto che non ci sono prospettive evolutive, non intravede un progetto. La scuola deve capire che la pandemia è un’occasione formativa straordinaria. Insegna che bisogna rafforzare la relazione, che si tratta di un’esperienza di apprendimento unica, che stimola domande e induce a porsi delle questioni». A patto che si tratti di fare non la scuola della normalità bensì dell’inatteso.