L’emergenza Covid-19 ha favorito, attraverso il decreto rilancio, la riorganizzazione della rete ospedaliera delle varie regioni: a poco meno di due mesi dall’approvazione del DL n.34 del 19 maggio, il 76% delle regioni italiane ha deliberato specifici piani di riorganizzazione dell’attività ospedaliera per il potenziamento della rete ospedaliera e delle terapie intensive. Si va quindi progressivamente completando il primo step della riorganizzazione dei servizi sanitari regionali.

È quanto emerso dalla 16ma puntata dell’Instant Report Covid-19. Il report si è arricchito sin dalla scorsa puntata dell’analisi dell’impatto economico dell’emergenza Covid-19 nella prospettiva del Servizio sanitario nazionale.

«Il futuro del Servizio sanitario nazionale è ora - commenta Americo Cicchetti, coordinatore dell’iniziativa - le Regioni ridisegnando la rete ospedaliera stanno impostando la struttura del Servizio sanitario regionale prossimo venturo ma in questo modo stanno ipotecando lo sviluppo futuro: non sempre, infatti, si intravede quel cambio di passo e quella trasformazione tanto auspicata. Il ruolo della telemedicina, infatti, solo raramente è delineato in modo strategico e puntuale. Il rischio è che si vada ad investire i fondi che si spera verranno con logiche vecchie e tradizionali e questo ci farebbe perdere una grande occasione di cambiamento».

La riorganizzazione della rete ospedaliera

Il Decreto-legge n. 34 del 19 maggio all’articolo 2 sancisce che le Regioni, tramite apposito piano di riorganizzazione volto a fronteggiare adeguatamente le emergenze pandemiche, come quella da COVID-19 in corso, garantiscono l'incremento di attività in regime di ricovero in Terapia Intensiva e in aree di assistenza ad alta intensità di cure. Inoltre, la circolare del Ministero della Salute del 29 maggio 2020 integra e definisce le linee guida per la riorganizzazione. 
Al 15 luglio 2020 si registra l’approvazione dei piani di riorganizzazione in Puglia e Valle d’Aosta. La totalità delle regioni caratterizzate da una circolazione consistente del virus ha riorganizzato la rete ospedaliera mentre tra le regioni in cui il virus ha circolato con intensità media manca all’appello il Lazio. Infine, una buona parte di quelle regioni che hanno registrato un numero di casi limitati hanno approvato in Giunta Regionale piani di riorganizzazione ospedaliera.

Sono 7 le regioni, prevalentemente caratterizzate da una consistente circolazione del virus, che hanno deliberato piani di riorganizzazione della rete ospedaliera in risposta a quanto richiesto dal DL 34/2020 e che avevano già riorganizzato l’assistenza ospedaliera. All’opposto, invece, sono 3 le regioni, tendenzialmente di piccole dimensioni e con una bassa circolazione del virus, che, al momento, non hanno approvato alcun piano di riorganizzazione ospedaliera. Altre 7 regioni e le 2 Province Autonome, che precedentemente non avevano riorganizzato l’assistenza ospedaliera, hanno approvato piani in risposta all’art. 2 del DL 34/2020. Infine, Lazio e Sicilia, al momento non hanno approvato piani di riorganizzazione ospedaliera come richiesto dal DL 34 ma avevano precedentemente definito un piano di riorganizzazione per la fase 2.

«A quasi due mesi dal decreto 34 del 2020, il 76 % delle Regioni e delle provincie autonome - ribadisce il professor Cicchetti - ha approvato piani per la riorganizzazione della rete ospedaliera. Il modello organizzativo per la rete ospedaliera Covid-19 prevalente è quello Hub and Spoke, che prevede di concentrare i casi più complessi in strutture centrali - HUB - lasciando i casi meno gravi in ospedali periferici - spoke. Ben 10 regioni  hanno adottato il suddetto modello, anche se non mancano soluzioni organizzative diverse: è il caso della Toscana che ha previsto un modello a rete, strutturando una rete capillare di ospedali dotati di terapie intensive per fronteggiare un eventuale recrudescenza della pandemia, o della regione Piemonte che prevede di dedicare ai pazienti affetti da coronavirus specifici ospedali, cosiddetti Covid Hospital». 

«I piani deliberati dalle Giunte Regionali si caratterizzano per l’estrema eterogeneità: alcune regioni hanno sfruttato gli obblighi derivanti dall’art. 2 per una puntuale riorganizzazione della rete di assistenza ospedaliera, e in particolar modo delle terapie intensive - sottolinea ancora Cicchetti. In particolare, il tema del coordinamento tra diverse strutture ospedaliere e tra quest’ultime e il territorio, aspetto cruciale per la gestione ottimale dei posti letto, sembrerebbe essere stato scarsamente attenzionato. Appena 2 regioni, (Emilia-Romagna e Toscana) hanno individuato nei loro piani strutture organizzative per il coordinamento dei posti letto in terapia intensiva. Sono 4 invece le Regioni (Emilia-Romagna, Lombardia, Toscana e Veneto) che hanno individuato nei piani strutture organizzative responsabili per il coordinamento delle cure post acuzie dei pazienti, responsabili dell’interazione con l’Ospedale, con le strutture di ricovero intermedie, con le strutture residenziali e con i Medici di Medicina Generale, Pediatri di Libera Scelta».

Tamponi diagnostici

Per quanto riguarda la ricerca del virus attraverso i tamponi, si osserva che il trend nazionale persiste in discesa dalle scorse settimane: rispetto alla settimana scorsa, in Italia il tasso per 100.000 abitanti è passato da 5,19 a 4,99. Relativamente al tasso settimanale di nuovi tamponi, i valori più alti di tamponamento vengono registrati nelle regioni del nord (Trento, Veneto, Friuli-Venezia-Giulia ed Bolzano). Il valore più basso viene registrato nella Regione Campania (1,69).

Nella maggior parte delle Regioni solo una minoranza dei casi accertati di Covid-19 risulta diagnosticata a partire dai test di screening. La Puglia registra il valore più basso nella percentuale di casi totali diagnosticati a partire dal sospetto clinico (45,18%). Nella maggior parte delle Regioni la quasi totalità dei casi accertati di Covid-19 risulta diagnosticata a partire dal sospetto clinico.

«L’incidenza dei nuovi casi su base settimanale a livello nazionale vede, nella prima metà di luglio, un dato stabilmente intorno a 2,3 nuovi casi per 100.000 abitanti, un dato tendenzialmente ancora in diminuzione rispetto a quello riportato a cavallo del periodo della terza fase di riapertura, avvenuta il 3 giugno 2020 - afferma il professor Gianfranco Damiani della sezione di Igiene dell’Università Cattolica -. Questo trend evidenzia l’efficacia delle attività fino ad ora messe in campo di testing-tracing-tracking, volte a interrompere la circolazione del SARS-CoV-2. Ciò nonostante, il recente emergere di nuovi focolai, sia legati a casi “locali” che a casi “importati”, visibile anche nell’aumento dell’incidenza settimanale in diverse Regioni, suggerisce la permanenza del rischio di diffusione dell’infezione, soprattutto in contesti favorevoli, e indica la necessità di continuare a rispettare le misure di contenimento e i protocolli di sicurezza e ad operare un’attenta sorveglianza epidemiologica».

Soluzioni digitali

Dopo il primo periodo di emergenza, è continuata la crescita delle iniziative di telemedicina dedicate all’assistenza dei pazienti non-Covid. Dall’inizio di giugno il panorama è stabile. A livello regionale sono in corso iniziative per la formalizzazione delle modalità di erogazione delle prestazioni in telemedicina, ad integrazione di quanto definito nelle Linee Guida Nazionali definite dal Ministero nel 2014 e recepite dalla Conferenza Stato-Regioni il 25-02-2014. Le regioni che hanno avviato questi processi deliberativi (Abruzzo, Emilia-Romagna, Lazio, Lombardia, Toscana, PA Bolzano, PA Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Umbria e Veneto) prevedono dei piani complessivi per l’avvio della telemedicina in modo organico.

«A livello regionale sono in corso iniziative per la formalizzazione delle modalità di erogazione delle prestazioni in telemedicina, ad integrazione di quanto definito nelle «Linee Guida Nazionali» definite dal Ministero nel 2014 e recepite dalla Conferenza Stato-Regioni il 25-02-2014. Le varie iniziative appaiono focalizzate sulla gestione di singoli processi e servizi - afferma l’ingegner Fabrizio Massimo Ferrara di Altems -. Lo scenario dei mesi scorsi ha dimostrato come sia fondamentale la collaborazione ed il poter disporre rapidamente di dati dettagliati, omogenei ed integrabili, sia per la cura del paziente, sia per il contrasto all’epidemia. Sarebbero quindi necessarie delle linee guida comuni a livello nazionale che, garantendo le autonomie regionali ed aziendali, assicurassero comunque l’integrabilità delle nuove soluzioni con gli ambienti esistenti, soprattutto per quanto riguarda la gestione e la condivisione dei dati, già molto frammentati fra applicazioni, cloud ed archivi spesso proprietari».