Pubblichiamo la prima parte di un contributo scritto dai professori Massimo Bordignon e Gilberto Turati, entrambi docenti di Scienza delle finanze nella facoltà di Economia, rispettivamente del campus di Milano e di quello di Roma, e tra i relatori al webinar intitolato “Per non sprecare i fondi europei per la ripresa: dal Mes al Recovery Fund”. Nel testo - ripreso dal quotidiano web Huffingtonpost.it - i docenti analizzano le misure che le istituzioni europee hanno messo in campo per contrastrare gli effetti del Coronavirus sulle economie degli Stati membri. Dal loro punto di vista tra i vari interventi il più innovativo è senz’altro il Recovery Fund - tuttora in fase di contrattazione al Consiglio Europeo - sia per il modo con cui è finanziato sia per il modo con cui è distribuito. Gli autori dedicano poi particolare attenzione alla situazione italiana: il vero tema è se l’Italia, con la sua inefficiente burocrazia e i tempi biblici della sua giustizia civile, è in grado di spendere in modo efficace e efficiente l’enorme quantità di risorse europee potenzialmente impegnabili e spendibili nei prossimi anni


di Massimo Bordignon * e di Gilberto Turati *

Il virus e le politiche introdotte per contrastare il Covid-19 hanno generato la più grande crisi economica della storia recente. Sia l’offerta (per il blocco della produzione indotto dal lockdown) sia la domanda aggregata (soprattutto per la grande incertezza sull’evoluzione futura dell’economia che spinge le famiglie a risparmiare e le imprese a non investire) ne hanno risentito pesantemente. Per l’Europa, si parla di una riduzione dell’attività economica dell’ordine del 7,5%-9% nel 2020 con un possibile rimbalzo del 4,7%-6,5% nel 2021, comunque insufficiente per recuperare il terreno perduto. Ma queste previsioni sono molto incerte: una recrudescenza della pandemia in autunno renderebbe ancora più negativa la situazione. Il nostro Paese è il fanalino di coda, sia perché è stato colpito prima e più duramente dall’epidemia, sia perché partiva già da una situazione più debole (nel 2019 la crescita reale è stata solo dello 0,3%). Per esempio, l’OCSE ci accredita di una perdita di prodotto dell’11% nel 2020 e di una ripresa del 7,7% nel 2021, che diventano rispettivamente -15% nel 2020 e +5% nel 2021 in caso di recrudescenza dell’epidemia.

A fronte di questa situazione eccezionale, le autorità nazionali si sono mosse in modo appropriato. Si calcola che a livello nazionale, l’intervento discrezionale a sostegno dell’economia (soprattutto tramite sussidi e crediti a imprese e famiglie oltre a spostamenti in avanti del pagamento di imposte) sia stato in media in Europa attorno al 3,5-4% del PIL, in aggiunta all’operare di stabilizzatori automatici dell’ordine del 5% del PIL. L’Italia ha già varato interventi per 55 miliardi di spesa aggiuntiva a cui si aggiungeranno probabilmente altri 20 miliardi in autunno; anche senza considerare questi ultimi, il surplus primario diventerà negativo per 3,5% del PIL nel 2020 e l’indebitamento netto raggiungerà il 10,4% del PIL nello stesso anno.

Le istituzioni europee

Ma ancora più rilevante l’impegno assunto dalle istituzioni europee. La BCE ha varato un programma straordinario di acquisti di attività, in aggiunta a quello già esistente, per 1.350 miliardi fino a giugno 2021, con inoltre la possibilità di distanziarsi dal criterio della capital key (la quota di ciascun paese euro nel capitale della banca) per l’acquisto di titoli di stato; ha inoltre varato programmi di prestiti al sistema bancario per circa 4.000 miliardi. La Commissione ha sospeso il patto di stabilità e la disciplina sugli aiuti di stato; è poi intervenuta per rendere più flessibile l’utilizzo dei fondi strutturali per contrastare l’epidemia e ha avanzato una serie di proposte, quali il SURE (uno strumento di sostegno temporaneo al mercato del lavoro, già approvato dal Consiglio, per 100 miliardi di euro) e il nuovo Recovery Fund, ribattezzato Next Generation EU, per 750 miliardi da allocare ai paesi nei prossimi 4 anni, 500 miliardi sotto forma di trasferimenti e 250 come prestiti. La Banca Europea per gli Investimenti è stata ricapitalizzata dai paesi europei per 20 miliardi, consentendogli un supporto alle imprese sotto forma di garanzie per una dimensione di circa 10 volte superiore; l’ESM (una istituzione intergovernativa dei paesi Euro) ha lanciato una nuova linea di credito precauzionale (Pandemic Crisis Support) che consente ai paesi euro di ottenere prestiti di durata decennale a tassi molto favorevoli (attorno allo 0,1%) fino al 2% del PIL, con l’unica condizionalità che i fondi devono essere utilizzati per finanziare le spese “dirette e indirette” legate all’emergenza sanitaria. Complessivamente, gli interventi già varati (SURE+ESM+BEI) assommano a 540 miliardi di euro; con il Recovery Fund, se verrà approvato nella misura proposta dalla Commissione, si raggiungerebbero i 1300 miliardi di euro di fondi europei, che si aggiungono agli interventi nazionali prima descritti.

Tra questi vari interventi il più innovativo è senz’altro l’ultimo, il Recovery Fund, tuttora in fase di contrattazione al Consiglio Europeo: per il modo con cui è finanziato (con un prestito sui mercati finanziari che resterà comunque  responsabilità europea, da restituirsi tra il 2028 e il 2058), per il modo con cui è distribuito (per oltre il 65% trasferimenti diretti ai paesi, alla luce delle loro condizioni economiche e l’entità della crisi indotta dal Covid-19), per il modo con cui è amministrato (vincolandolo a spese basate sulle Raccomandazioni della Commissione ai singoli paesi e le priorità europee su ambiente, infrastrutture e agenda digitale), per il modo infine in cui si pensa di rimborsare interessi e principale in futuro (tramite l’attribuzione di risorse fiscali al bilancio europeo, in particolare tasse ambientali e sulle imprese digitali).

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* docente di Scienza delle finanze alla facoltà di Economia, campus di Milano e membro dello European Fiscal Board
* docente di Scienze della finanza, campus di Roma