Dieci anni di volontariato nelle carceri bresciane e 100 interviste rivolte ad altrettanti genitori – madri e padri – attualmente detenuti in tali luoghi. È il lavoro di ricerca, corposo e complesso, effettuato dalla giovane avvocatessa Beatrice Ferrari che, mercoledì 13 aprile, nell’aula Magna dell’Università Cattolica ha presentato il progetto I figli dei detenuti: le vittime incolpevoli del disagio carcerario. La genitorialità nelle strutture penitenziarie bresciane.

“Papà, mi hai sempre detto di comportarmi bene. Che ci fai tu qui?” Chiave di volta per l’avvio della ricerca è stata una frase di una semplicità tagliente e disarmante, pronunciata da un bimbo di soli 4 anni, figlio di uno degli ospiti del carcere.
«Ne rimasi molto colpita – racconta la giovane avvocatessa – quella frase così semplice e al tempo stesso forte, smosse in me qualcosa».

Ne è nato un lavoro di ricerca volto dare voce a tutte le situazioni di disagio e sofferenza riguardanti i figli minori dei detenuti, senza distinzione alcuna - uomini o donne, italiani o stranieri, credenti o atei – al fine di comprenderne i bisogni e le difficoltà e, ove possibile, predisporre interventi mirati ad opera della comunità esterna.  L’idea di questa ricerca – promossa dal Dipartimento di Scienze Storiche e Filologiche dell’Università Cattolica e realizzato in collaborazione con la Congrega della Carità Apostolica, anche in ragione dell’esiguità di ricerche e studi in questo settore – nasce infatti dalla volontà di sondare situazioni spesso accantonate, ma non per questo di secondaria importanza, come quella dei familiari e, in particolar modo, dei figli minori dei detenuti delle strutture penitenziarie bresciane. 

«L’aspetto interessante dell’indagine riguarda la modalità adottata per lo svolgimento dell’inchiesta, ovvero l’intervista diretta – ha precisato Ferrari - Questo mi ha permesso di raggiungere un risultato rappresentativo della totalità dei detenuti-genitori attualmente presenti nelle carceri bresciane: 100 genitori - 79 uomini e 21 donne – di cui 43 reclusi a Canton Mombello, 53 a Verziano, e 4 presso l’ufficio esecuzione penale esterna».

Dalla teoria alla pratica: introdotta dal direttore di sede Giovanni Panzeri, Francesca Paola Lucrezi, direttrice del carcere di Verziano, ha portato la sua personale testimonianza, sottolineando l’utilità della ricerca per meglio affrontare la quotidianità del fenomeno: «Lavori come quello sono di estrema importanza poiché forniscono a noi, dirigenti e operatori del settore, dati scientifici preziosissimi per focalizzare meglio talune problematiche e attivarci per trovare soluzioni adeguate».

Un esempio? «Spesso l’ambiente in cui si svolgono i colloqui genitori-figli, non è ottimale: i bambini si spaventano di fronte alle guardie penitenziarie, alle perquisizioni, al divieto di troppa affettività. Per sopperire a ciò sono stati avviati momenti d’incontro diversi, come il progetto Nati per leggere, in cui i detenuti leggo fiabe ai loro bambini» conclude.