Il tema è di grande attualità e nuovo l'approccio: studiare la componente di inquinamento atmosferico da Pm10, dovuta al risollevamento del particolato che si deposita sull'asfalto e che viene ridisperso nell'aria a causa del traffico veicolare. Abramo Agosti, laurea specialistica in fisica alla Cattolica di Brescia e ora studente al terzo anno del dottorato di ricerca in Fisica, astrofisica e fisica applicata che fa capo all'Università degli Studi di Milano, sta studiando questa componente dell'inquinamento delle aree urbane.
«L'attività che svolgo, coordinata da Fausto Borgonovi, docente del dipartimento di Matematica e fisica della Cattolica di Brescia, e da Roberta Vecchi, dell’ateneo milanese, nasce dalla necessità di controllare la qualità dell’aria, valutare le cause dell'inquinamento e studiare misure per contenere il fenomeno», spiega Abramo. Il Pm10 è un insieme di particelle di diametro inferiore ai 10 μm (un micrometro equivale a un millesimo di millimetro), sospese in atmosfera. La pericolosità per la salute delle polveri sospese nell'aria è legata alle dimensioni delle particelle, al tipo di sorgente di emissione e ai fenomeni di trasporto e di trasformazioni chimiche che avvengono nell'atmosfera. «Le frazioni fine (con particelle di diametro inferiore a 2.5 μm) e ultrafine (particelle di diametro minore di 0.1 μm) del particolato - continua Abramo - sono quelle di maggiore rilevanza dal punto di vista tossicologico e su queste, in particolare, si concentra il nostro studio».
Nelle aree urbane il traffico dei veicoli contribuisce alla concentrazione totale di particolato per una frazione che va dal 30% al 50% ma, nonostante l’introduzione di veicoli con emissioni sempre più basse, negli ultimi anni i livelli di questi inquinanti non sono diminuiti in modo significativo. Certo, il numero di veicoli circolanti è in costante aumento, e lo è anche la quota di mercato dei veicoli diesel (con emissioni di particolato in generale più elevate rispetto ai veicoli a benzina), ma il progresso delle tecnologie ha consentito anche per questi veicoli una consistente riduzione delle emissioni. Basti pensare che per i diesel Euro 5 si osserva una riduzione delle emissioni di particolato, rispetto agli Euro 3, del 90%.
Le emissioni da combustione, quindi, non sono sufficienti per giustificare l'attuale inquinamento. «Questo ci porta a volgere l'attenzione a contributi legati al traffico, ma non direttamente alla combustione del carburante - continua il giovane ricercatore - cosa peraltro descritta da studi recenti, che hanno identificato un chiaro contributo delle emissioni non exhaust, cioè non generate da processi di combustione nel motore, alla concentrazione ambientale di Pm10 emesso dal traffico».
È importante conoscere bene questi fenomeni, anche per far fronte ai limiti delle concentrazioni in atmosfera imposti dalle direttive europee, sempre più restrittive. «Le fonti non exhaust comprendono le emissioni legate all'usura di freni e pneumatici, oltre all’abrasione dell’asfalto dovuta al passaggio dei veicoli, ma non solo. Un’ulteriore fonte – spiega Abramo - è data dal risollevamento della polvere presente sulle superfici stradali, generato dalla turbolenza prodotta dal flusso del traffico».
Per poter considerare scenari di riduzione delle Pm10, è essenziale conoscere l'effettivo contributo alle emissioni dovuto ai processi di abrasione e di risollevamento di materiale depositato sul manto stradale. Ed è proprio di questo che si sta occupando Abramo Agosti, facendo un passo avanti rispetto ai lavori di ricerca realizzati a livello internazionale sul tema. «Nel corso degli anni sono stati formulati vari modelli per descrivere le emissioni da risollevamento – continua -. Per esempio, quello americano proposto dall'Epa stima un contributo, in condizioni di strada molto trafficata in area urbana, pari a circa il 50% dell’emissione totale da traffico. Valutazioni che, tuttavia, non considerano opportunamente le variabili meteorologiche e i vari parametri geometrici del fenomeno e che forniscono, al più, indicazioni qualitative. Al massimo per ordine di grandezza».
Anche il progetto di ricerca svizzero Apart, del 2009, realizzato dall’Empa, ha concluso che il risollevamento contribuisce alle fonti di inquinamento di particolato da traffico per una percentuale che può arrivare al 50%. «Ma questo lavoro ha chiarito il contributo del fenomeno in uno scenario di traffico ben preciso (nelle sole condizioni in cui vengono effettuate le misure) e non permette di conoscere l’effetto indotto dall'interazione tra le scie dei diversi veicoli in diverse situazioni di traffico urbano e di condizioni di stabilità atmosferica».
Nello studio congiunto Brescia-Milano vengono invece considerati, oltre alla geometria del veicolo che induce il risollevamento, la geometria della strada o del canyon urbano, le condizioni meteorologiche e di stabilità o instabilità atmosferica, la turbolenza generata dalla scie dei veicoli (dipendenti dalla velocità e dalla densità del traffico) e le caratteristiche dell’asfalto, oltre ai fattori di emissione per le componenti legate alla combustione e all'usura. «Attraverso opportuni modelli matematici e simulazioni numeriche - dice - ci proponiamo di studiare il fenomeno del risollevamento indotto dal moto di veicoli con geometria leggera (i cosiddetti light duty) e di quello generato da veicoli con geometria pesante (heavy duty), inseriti in un tipico ciclo di guida urbano–extra urbano. Vogliamo studiare la dipendenza del fenomeno dalle caratteristiche del manto stradale (porosità, profilo geometrico della superficie e dimensione dei grani d’asfalto), dalla stabilità atmosferica e dalle variabili meteorologiche, e dall’interazione tra le scie di turbolenza dei veicoli». Lo studio prende in esame l’emissione di monossido di carbonio, di carbonio elementare e di polveri minerali provenienti dall’usura del veicolo, del manto stradale e dal particolato urbano depositato sulla strada, includendo nel modello la descrizione dell’usura del manto stradale.
«I risultati ottenuti dalle nostre simulazioni, parametrizzate in modo da descrivere lo stesso scenario studiato nel progetto Apart, sono in linea con i dati sperimentali raccolti nello studio – dice – e mostrano un valore che va dal 30% al 50% del totale per il contributo da risollevamento, in funzione delle condizioni di stabilità atmosferica, di velocità e geometria del veicolo». Il team di ricerca si propone anche di valutare dei rimedi possibili: «Vogliamo stimare i parametri ottimali di geometria dell’asfalto (porosità e dimensione dei grani) che minimizzino il fenomeno - aggiunge Abramo Agosti - e studiare gli eventuali effetti positivi dati dal lavaggio delle strade».