Ma la terra è nostra? Certamente l’uomo è stato chiamato ad abitare la terra, ma questo non significa conquistare, dominare e nemmeno lasciar perdere. Egli deve coltivare e custodire poiché se si dimentica di custodire, prima o poi il coltivare si rivela un distruggere.

Parte da qui la riflessione del filosofo Silvano Petrosino, intervenuto a Bookcity con la teologa dell’Università Cattolica di Lisbona Teresa Bartolomei durante l’incontro “Terra nostra? La casa dell’umano e l’ecocidio imminente”, moderato da Andrea Monda, direttore dell’Osservatore Romano, e introdotti dal prorettore dell’Università Cattolica Antonella Sciarrone Alibrandi.

Nel testo biblico si dice che l’uomo è chiamato a dare il nome ad altri esseri viventi, è chiamato quindi ad una creazione secondaria. Ma allora perché l’uomo sta distruggendo la terra? Cosa c’è di così profondo nell’idea del possedere, nel dominare? È forse l’uomo cattivo? Si chiede Petrosino nel libro “Dove abita l’infinito” (ed. Vita e Pensiero). «Si tratta di un fatto più profondo ovvero che, attraverso il possesso, l’uomo cerca di dare una risposta alla propria identità. Nella Bibbia la scommessa che fa il creatore sull’unica creatura fatta a sua immagine e somiglianza è chiamare l’uomo a partecipare alla creazione. È questo l’antropocentrismo. L’uomo si mette a distruggere perché attraverso questa azione immagina, sogna di trovare una risposta all’interrogativo Chi sono?». Per il filosofo della Cattolica l’uomo deve essere un attore, che non subisce la vita ma che è chiamato a coltivare la terra, un bene che ha in affitto e non come proprietà.

Eppure l'uomo sta distruggendo irreversibilmente il pianeta. Sta commettendo un ecocidio. Come spiega Teresa Bartolomei che confuta la teologia della maledizione del diluvio - Dio non punisce – e rovescia la teologia dell’ecocidio in una vera e propria teologia della seconda creazione. L’uomo ha distrutto il suo ambiente, la casa che gli era stata donata, ma Dio gli propone una nuova forma di convivenza, che passa dal coinvolgimento attivo dell’uomo. Davanti alla minaccia di un ecocidio fatto di alterazioni climatiche, consumo dissennato delle risorse naturali, riduzione della diversità biologica, Dio propone a Noè e a tutti noi di salvare la vita del pianeta costruendo nuovi habitat, nuove arche, nuovi modelli di vita individuale e collettiva.

Di ecocidio come crimine contro la terra si è iniziato a parlarne negli anni 70 con la guerra del Vietnam quando gli agenti chimici chiamati con il nome di “Agente arancio” vennero sparsi sulla foresta tropicale per impedire ai nord-vietnamiti di nascondersi, ma anche di annientare e avvelenare le riserve di cibo per affamare i combattenti.

«Si tratta di un crimine contro noi stessi e contro Dio e noi cristiani dobbiamo riflettere su questo – afferma la Bartolomei - ho fatto lo sforzo nel mio libro “Dove abita la luce?” (ed. Vita e Pensiero), di recuperare nella Bibbia un intervento diretto di Dio nella storia dell’uomo che fa un patto con l’uomo e con tutti gli esseri umani. Si tratta della teologia della salvezza. Noè è l’unico che ascolta Dio e accoglie l’azione di salvezza che Dio porta. Il diluvio universale non è una punizione quindi, ma un intervento per salvare l’uomo dagli effetti del male che rompono l’equilibrio universale. L’invito di Dio è salva te stesso e tutti gli esseri viventi. Questo momento ci richiama a un impegno di fedeltà, a un patto universale non solo per i discendenti di Abramo ma per tutta l’umanità. Noi siamo portatori di questa speranza. Dio interviene come salvatore, apre una porta, invita Noè a rimboccarsi le maniche, a cambiare vita».

È qui che si inserisce l'invito del Papa con le encicliche Laudato si’ e con Fratelli tutti per far suonare un campanello d’allarme per tutta l’umanità. Invita i credenti a trovare soluzioni e modelli di società dove prevalga l’etica della cura rispetto all’etica dei profitti, in cui le risorse biologiche non siano solo risorse economiche di possesso, ma come nella creazione una compagnia per l’essere umano.

Il primo gesto che l’uomo è chiamato a fare è quello di dare un nome, di riconoscere l’essere vivente come portatore di un senso, non come un oggetto che ci appartiene.

Quelle trattate dai due relatori sono tematiche piene di speranza, che contengono una costruzione concreativa, dinamica dell’uomo che si inserisce in un patto universale. «Anche noi – ha concluso il prorettore della Cattolica Antonella Sciarrone Alibrandi - come università siamo chiamati continuamente ad essere partecipi della creazione».