Tra il gennaio 2010 e il marzo 2015 nei 28 paesi dell’Unione europea sono state sequestrate 19.246 armi illecite. Lo rivela il rapporto finale del Progetto FIRE (Fighting Illicit Firearms Trafficking Routes and Actors at European Level), coordinato dal centro Transcrime dell’Università Cattolica, in collaborazione con un consorzio di partner internazionali e cofinanziato dalla Commissione Europea – DG Affari Interni.

A partire dal 2014 un gruppo di ricercatori ha iniziato a raccogliere e analizzare i dati sul traffico illecito di armi in Europa consultando le fonti aperte quali articoli di giornali e comunicati stampa di polizie e uffici delle dogane. «É stato un lavoro di ricerca molto complesso - spiega Marina Mancuso, project manager del progetto FIRE - perché sono pochi gli stati membri che pubblicano e rendono disponibili dati ufficiali su questo mercato illecito».

Le pistole e i fucili che alimentano il florido mercato nero delle armi provengono principalmente dall’Europa dell’Est e in particolare dai bacini dell’ex Jugoslavia e dell’ex Unione Sovietica. I depositi presenti in questi Stati sono una delle principali fonti di approvvigionamento per chi vende illegalmente un’arma.

«Il traffico illecito è composto quasi esclusivamente da vecchie armi che vengono riattivate - sottolinea Marina Mancuso - ed è estremamente raro vedere circolare pistole e fucili illeciti di nuova produzione». Essendo delle merci durevoli, le armi rimangono nel mercato nero per molti anni e una stessa pistola può quindi essere soggetta a più transazioni e a più passaggi di mano. Dall’Europa orientale le armi giungono soprattutto nell’Europa occidentale e tra le principali destinazioni risultano Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito e i Paesi scandinavi.

Dietro l’acquisto delle armi illegali ci sono i gruppi criminali, i collezionisti d’armi e, in parte, i professionisti appartenenti alla filiera produttiva o gli addetti al controllo della regolarità dei trasferimenti. In Italia, la domanda arriva dalla criminalità organizzata nonostante il traffico di armi rientri tra le loro attività collaterali. «Recenti inchieste hanno dimostrato come i gruppi criminali utilizzino, per esempio, le armi come merci di scambio con i ribelli nei Paesi africani per ottenere opere d’arte locali».

La ricerca del progetto FIRE si è anche concentrata sul deep web anche se l’analisi dei dati ha dimostrato come la dimensione del mercato illecito per questo tipo di merci sia ancora limitata. Tuttavia, nei prossimi anni l’internet sommerso potrebbe diventare una minaccia concreta per la varietà dell’offerta e le opportunità criminali legate all’anonimato degli utenti e alla non tracciabilità delle transazioni. «Ali Sonboly, il diciottenne tedesco-iraniano - ricorda Marina Mancuso - che nel luglio 2016 aveva ucciso a Monaco dieci persone e ferite una trentina aveva acquistato sul deep web la Glock 9mm con la quale aveva fatto l’attentato».

Ma oltre a internet i trafficanti di armi sfruttano le zone d’ombra della legislazione europea per portare avanti i loro commerci illegali. Dall'analisi delle possibili opportunità criminali derivanti dalle entrate in vigore dell'ultima proposta di revisione della Direttiva europea sulle armi, il rapporto propone alcune raccomandazioni. Tra queste, vi è una maggior armonizzazione nella legislazione e nella sua implementazione in ogni Stato membro.

«Inoltre è necessario un maggior coordinamento tra le polizie nazionali nella tracciabilità delle armi e nella realizzazione di un più efficace controllo delle frontiere. Infine, serve una maggior attenzione ai nuovi mercati di scambio delle armi, tra cui il deep web come dimostra la storia di Ali Sonboly.