Teatro antico in scenadi Katia Vinzio

Affrontare le complessità con uno sguardo non univoco. È il valore aggiunto in chiave professionale che può offrire accostarsi ai grandi testi del teatro classico, non solo antico, ma di ogni tempo. «Lo richiedono soprattutto le alte professionalità anche perché il forte tecnicismo di molti percorsi formativi offre spesso un bagaglio di competenze specifiche più che capacità critiche per affrontare i problemi e trovare in tempi rapidi le migliori soluzioni. Sotto questo punto di vista, tutto il teatro classico abitua ad affrontare grandi modelli di “complicazioni” e di “soluzioni”». Parola di Elisabetta Matelli, docente di Storia del Teatro greco e latino e di Retorica classica, direttrice del Laboratorio di drammaturgia antica alla facoltà di Lettere e filosofia e del corso di alta formazione Teatro antico in scena dell’Università Cattolica.

La professoressa Matelli prende per mano i suoi studenti nella scoperta di un mondo lontano che è più vicino a noi di quanto possiamo immaginare. «I testi classici greci e latini - spiega - rappresentano un patrimonio di sapienza per l’umanità di ogni epoca. Si tratta di testi al tempo stesso prossimi e lontani, che continuano a richiedere studio e ricerca per essere pienamente compresi. Ma una volta andati oltre questa superabile “distanza”, scopriamo che le commedie e le tragedie antiche mettono a tema le questioni-chiave del nostro tempo: la giustizia e il suo rapporto con le leggi, la ricerca della nostra identità, i rapporti genitori-figli, la relazione vincitori-vinti, l’emarginazione della diversità e della malattia, la sapienza e la debolezza della vecchiaia, la coscienza della colpa commessa e il problema della sua espiazione, l’esilio dalla patria, la condizione di essere profughi e stranieri, il ruolo e il diritto della donna nella famiglia e nella città».

Che funzione svolge il teatro, dunque? «Mette sotto una lente d’ingrandimento la nostra umanità in tutte le sue relazioni, personali e sociali. E nulla è trattato in modo univoco. La fedeltà nelle relazioni umane e il tradimento, l’amicizia, la vendetta, il rapporto degli uomini con gli dèi, la forza del fato sugli accadimenti umani, il destino dopo la morte e la possibilità dei vivi di comunicare con i morti, le distinzioni sottili tra verità, apparenze, verosimiglianze e falsità nelle nostre esperienze e conoscenze, il dominio delle passioni opposto al calcolo razionale, la sete di potere e molto, molto altro». 

Come affronta queste dimensioni della nostra umanità? «Di ognuno di questi aspetti, l’insieme delle tragedie e delle commedie antiche fa emergere la problematicità e le diverse possibili risposte, messe in contrasto con arte per scavarne meglio il senso. Quando ci confrontiamo con le opere teatrali antiche ci mettiamo inoltre di fronte a opere d’insuperata bellezza poetica e capacità di presa emotiva. Assistere a uno spettacolo antico è un’esperienza che ci parla con una sorprendente attualità, rendendoci vicini anche mondi storicamente lontani, che peraltro contengono pressoché tutti i semi di ciò che siamo oggi».

Il teatro, e in particolare il teatro antico, può aiutare a “conoscere se stessi”? «Come ci ha insegnato Aristotele nella Poetica, il piacere “profondo” che può dare la messinscena teatrale (naturalmente, a condizione che sia ben fatta!) può portarci a conoscere, attraverso vie molto sottili, aspetti di noi stessi e della nostra vita che, nella normalità, ci sfuggono o appaiono molto complicati. Il teatro classico ricerca sin dalle sue origini una “letterarietà” che la elevi a un livello diverso dalle nostre esperienze quotidiane».

Teatro antico in scenaIn che senso? «Nelle vicende che vediamo scorrere sulla scena e che contengono pressoché sempre, di base, alcune problematiche esperienze del vivere umano, i nostri casi personali riescono a essere visti come se fossero casi di altri, e per questa oggettività e universalità divengono più facili da comprendere rispetto al nostro stesso vissuto. Il sofista greco Gorgia, nella sua Elena, per primo introdusse questa idea, ripresa poi da Aristotele e da quasi tutte le successive riflessioni sul teatro. Il lavoro d’interpretazione del testo scritto che l’attore fa con tutta la sua persona (cioè con l’insieme di pensiero, sguardo, movimenti fisici, voce), se compiuto con vera arte, risolve tutte le oscurità insite nel linguaggio letterario, comunicando intense emozioni e pensieri coinvolgenti».

A parte il piacere di “mettersi in scena”, partecipare ai laboratori di drammaturgia o al corso in Teatro antico può avere anche ricadute professionali per gli studenti? «L’esperienza di recitazione dentro un gruppo teatrale fornisce molte conoscenze: il primo compito dell’attore è apprendere al tempo stesso il dominio su se stesso e sulle sue relazioni con gli altri. Apprendere il dominio su se stessi significa possedere una tecnica che permette con naturalezza di mettere in unità sentimenti, pensieri, sensazioni, sguardi, toni e volumi della voce, movimenti, e posture del corpo per esprimere una intenzione teatrale».

E poi? «Comprendere e memorizzare il testo in modo “profondo’”, non banalmente mnemonico è pure una facoltà utile in ogni ambito di azione, anche professionale. Inoltre l’attore deve sapersi muovere in sinergia con gli altri attori ed entrare in contatto con il pubblico durante la messinscena. Questo è un apprendimento non facile per noi che viviamo in una dimensione estremamente individualista e tendenzialmente narcisistica. L’attore, contrariamente a quel che superficialmente si crede, deve superare questi due impulsi».

Cosa trasmettete nei corsi? «L’idea che chi recita deve essere “al servizio” di qualcosa di più grande di lui: in primis l’opera del poeta e lo spettacolo nel suo insieme. La consapevolezza che l’attore acquisisce di essere, con preziosità e necessaria umiltà, al servizio di qualcosa di più grande di sé porta a grandi risultati. La capacità individuale viene esaltata e lo spettacolo raggiunge effetti straordinari, che sorprendentemente superano la somma delle singole capacità attoriali (anche di quelle più alte), offrendoci un grande esempio di un’etica “superiore”, che chiamerei “sistemica”, utile in ogni ambito di azione».