il Mercante di VeneziaLa letteratura non è un passatempo, una cenerentola o una materia per soli (futuri) insegnanti. In un’epoca di crisi economica, occupazionale ma anche antropologica e valoriale, le opere letterarie propongono innumerevoli rappresentazioni dell’umano, modelli del mondo e chiavi di lettura della realtà quotidiana che possiamo impiegare per interpretarla nel suo multiforme manifestarsi e coglierne la radice più profonda. Ne è convinto il professor Enrico Reggiani, docente di Lingua e Letteratura inglese all’Università Cattolica, curatore di “Shakespeare economista”, un programma, giunto alla seconda edizione, di quattro conversazioni sull’insolito accostamento economia-letteratura. 

Nella letteratura si manifesta infatti tutto il repertorio dell’umana esistenza. Scandagliando in modo quasi “rivoluzionario” l’immenso patrimonio letterario di cui disponiamo, possiamo ricercare quanto la storia dell’uomo ha prodotto nei campi più disparati della sua esperienza e ci è poi stato trasmesso con le parole, attraverso lo sguardo attento e profondo dello scrittore. Una lettura di questo tipo non è un puro divertissement intellettuale per poeti e appassionati. Al contrario: può rappresentare una grande occasione per tutti coloro che, per mestiere o curiosità, arricchiscono la realtà di contributi apparentemente inconciliabili con le forme e i modelli della letteratura: manager, professionisti, amministratori, politici, per citarne solo alcuni.

Enrico ReggianiProfessor Reggiani, in che modo la letteratura propone modelli interpretativi dell’esistenza? «La letteratura modula infinite rappresentazioni (culturalmente) integrate dello spazio e del tempo, popolate da persone che incarnano modelli antropologici e relazionali diversi. Saper leggere tali rappresentazioni è l’obiettivo formativo di una vita. Poche altre esperienze sono appassionanti e feconde come la lettura, che – se fedele a se stessa - impegna la totalità della persona, richiede una formazione permanente, presuppone libertà e responsabilità, aggira la mancanza di fondi ma non la paralisi del cuore o la sciatteria dell’intelligenza. Poche altre esperienze sono altrettanto antropologicamente esigenti e “costose” – per cambiar segno al ridotto senso economico-commerciale di questo aggettivo che Pietro Citati ha evocato scrivendo che “niente è meno costoso, e tanto indispensabile, come il piacere della lettura”. Poche sono altrettanto antropologicamente proficue e remunerative, se è vera un’immaginifica intuizione dello scrittore svizzero Peter Bichsel per il quale “l’atto della lettura produce di per sé una trasformazione fisica nel nostro corpo”».

Come tutto questo può “agire” nell’esperienza professionale? «Intesa in questo modo virtuoso, la lettura praticata sulla letteratura è un esercizio facilmente e concretamente esportabile in ambito professionale, cioè – etimologicamente – nell’ambito in cui ci è continuamente richiesto di leggere una determinata realtà e di professare la nostra azione, dichiarandola ed esercitandola. Ma purtroppo spesso non ne siamo consapevoli. 

L’esperienza e la scienza economica sono spesso parte integrante dei mondi rappresentati in letteratura. Gli esempi non mancano… «Certo. Antonio e Shylock nel Merchant of Venice shakespeariano (1596-1597) non concordano innanzitutto sulla materia linguistica con cui denotare il denaro e tale disaccordo linguistico ne implica uno più ampio, di matrice socio-culturale e politico-istituzionale. Nel quarto dei Travels swiftiani (1726) le domande che vengono rivolte a Gulliver dal cavallo razionale sottintendono la dialettica tra economia naturale ed economia monetaria. In Persuasion (1818) di Jane Austen il baronetto incarna l’insanabile dipendenza della “aristocracy of land” e del “landed interest” dalla “aristocracy of money” e dal “monied interest”».

Una ricca galleria… «A cui possiamo aggiungere lo pseudosindacalista dickensiano di Hard Times (1854): in realtà, un losco demagogo che, profetizzando la palingenesi socioeconomica e la “Brotherhood” con toni apocalittici e rivoluzionari, persegue, invece, biechi fini personali. Per non parlare del consigliere indiano protagonista di un romanzo indoinglese dal titolo inequivocabile (The Financial Expert di Narayan, pubblicato nel 1952), in cui si confrontano la sagoma rigida di un istituto di credito occidentale e la naturale vitalità del “banyan tree”, all’ombra del quale egli esercita la sua attività di consulente finanziario e di “banchiere” secondo la tradizione indiana».

Esiste il rischio di un uso parziale e funzionale della letteratura nel dibattito culturale, come in ambito sociale, politico ed economico? «L’uso parziale, funzionale e manipolatorio della letteratura nei vai ambiti citati non è un rischio: è un’esperienza quotidiana che si respira, ad esempio, nei pur volenterosi riferimenti letterari proposti dai vari protagonisti della vita pubblica italiana. Suggerirei, tuttavia, di interpretarla e sfruttarla come un’opportunità educativa, formativa e relazionale, che impone “la ricerca di una visione del tutto”, l’interazione tra i saperi e l’«interezza metodologica» per raggiungere lo “sviluppo integrale […] di ogni l’uomo e di tutto l’uomo”». 

Che ruolo può avere a livello di formazione e di rapporto con il mondo del lavoro? «Al politico nostrano che ha stigmatizzato il fatto che “il nostro sistema universitario sforna qualche letterato di troppo” raccomanderei di provare ad “allargare la [sua] ragione” e di ricordare che “nel mondo ci sono degli eventi che appaiono allo spirito percettivo dell’uomo nella forma del bello, cosicché egli deve ammettere che il matematico che vi ha dato origine ha anche dimostrato un livello inaudito di fantasia creatrice” (Joseph Ratzinger). Infine, allo stesso politico nostrano di cui sopra segnalerei anche che alcune delle più avanzate prospettive interdisciplinari nell’ambito della ricerca universitaria sul rapporto letteratura-economia (ad esempio, quelle che elaborano quanto proposto dagli studi di Michael W. Watts, Willie Henderson, Martha Woodmansee, Mark Osteen, Regenia Gagnier Frederick Turner, Kurt Heinzelman, March Shell e altri) potrebbero facilmente dimostrare il contrario di ciò che lui banalizza, anche sul piano delle prospettive lavorative e delle relative retribuzioni».