Stefania Bertolini

Il Csr manager è soprattutto donna e guadagna tra i 70mila e gli 80mila euro all'anno. Almeno secondo i risultati di una ricerca promossa dal Csr Manager Network, costituito nel 2006 dall’Alta Scuola impresa e società (Altis) dell’Università Cattolica e dall’Istituto per i Valori d’Impresa (Isvi). Su 116 iscritti all'associazione, 63 sono donne, pari al 54%. E anche la maggior parte dei collaboratori della Csr sono donne e hanno un'età compresa tra i 31 e i 40 anni, con un curriculum di studi molto elevati.

Una professionalità che si sta affermando sempre più e che negli ultimi 12 mesi ha avuto un incremento di domanda. Ma chi è e cosa fa esattamente il Corporate Social Responsibility manager, oggetto dello studio presentato lo scorso 24 febbraio in Università Cattolica?

«Bisogna intendersi prima di tutto su cosa sia la Corporate Social Responsibility (Csr)», afferma Stefania Bertolini (nella foto in alto), segretario del Csr Manager Network e coordinatrice didattica di Professione Csr, il corso Altis per la professione di questo tipo di manager. «La Csr è definita ufficialmente dal Libro Verde della Commissione Europea del 2001, come l’integrazione volontaria da parte delle aziende delle preoccupazioni sociali e ambientali nelle loro attività commerciali e nei rapporti con le parti interessate - spiega - . In termini più semplici può essere considerata come l’integrazione degli obiettivi sociali e ambientali nella strategia dell’azienda. La logica della Csr all’interno della strategia aziendale mira a innescare un circolo virtuoso che dal perseguimento di obiettivi economico-competitivi generi risorse in grado di soddisfare obiettivi sociali e ambientali funzionali a un miglioramento della stessa performance economica dell’azienda».

Facciamo un esempio concreto. «Un esempio spesso citato è quello del welfare aziendale, in cui l’obiettivo sociale è la “soddisfazione” dei dipendenti, attraverso iniziative post-lavorative, la libera gestione dell’orario di lavoro o l’organizzazione di servizi legati alle esigenze che si possono manifestare (asilo nido per i figli, ecc…). In questo modo l’azienda è in grado di attrarre le risorse migliori e, con risorse soddisfatte, motivate e più produttive, si abbassa il tasso di turn-over, che si traduce in minori costi di selezione del personale, di formazione, ecc… Questo è un circolo virtuoso generato in una delle tante aree in cui si possono attivare iniziative di Responsabilità Sociale all’interno delle aziende».

Non è quindi solo di una questione ideale, ma c’è anche un interesse economico. «Certo, è il concetto di Triple Bottom Line che tiene insieme tre dimensioni: sociale, ambientale ed economica. In ciò si differenzia dalla filantropia che guarda solo alle prime due. Ogni attività di Csr deve tenere presente anche l’obiettivo economico competitivo: se la filantropia è sostanzialmente un costo, le iniziative di responsabilità sociale sono un investimento produttivo per l’azienda».

Allora chi è il Csr manager? «Una figura dell’azienda cui sono affidate le responsabilità di presidiare le tematiche connesse alla sostenibilità. Alla sua prima comparsa in azienda – una quindicina di anni fa circa – il Csr manager entra nelle aziende come titolare di altre funzioni (quali – in genere - comunicazione, risorse umane o rapporti istituzionali) cui, nel tempo, vengono affidate anche le tematiche di sostenibilità. Oggi il Csr manager non ha caratteristiche definite e immutabili da un’azienda all’altra, perché la sua attività è fortemente caratterizzata dal settore in cui opera l’azienda di riferimento. Ha un compito trasversale a tutta l’organizzazione interessandone ogni area/funzione».

Cosa fa di specifico? «Il Csr Manager è un sensore dei cambiamenti socio-ambientali, che deve intravedere il cambiamento del contesto, cercando di anticipare le richieste che da questo arriveranno. È anche un fautore del dialogo con gli stakeholder. Ricordo che il dibattito sulla CSR nasce dopo che Freeman, nel 1984, spostò l’accento da un’ottica stockholder – azionisti – a un’ottica stakeholder, ovvero tutti i portatori di interessi, gli interlocutori dell’azienda».

E poi? «Un compito importante consiste nel monitorare le best practices dei concorrenti, portando in azienda le sollecitazioni provenienti dal contesto. Da ultimo, possiamo dire che il Csr manager lavora attraverso i colleghi, perché la Corporate Social Responsibility è perseguita all’interno di diverse funzioni (logistica, operations, marketing, risorse umane, ecc…); non ha perciò – a priori – alcuna attività che sia prerogativa esclusiva, fatto salvo il Bilancio di Sostenibilità, documento che riporta, oltre ai dati economici di sintesi, anche informazioni qualitative e quantitative sulle performance sociali ed ambientali dell’azienda. È uno strumento di analisi che tiene conto di più fattori».

Un gruppo di lavoro del corso Altis "Professione Csr"Cosa dice il vostro studio sull’evoluzione di questa figura? «Al convegno di presentazione della ricerca condotta con il supporto scientifico dell’Università Statale di Milano, abbiamo ascoltato un head hunter, che ci ha portato la sua esperienza secondo cui, nell’ultimo anno, si è riscontrato un significativo aumento della richiesta di Csr Manager. Se fino a un anno fa il mercato del lavoro per le posizioni legate alla responsabilità sociale non era particolarmente sviluppato, in questi ultimi 12 mesi si è assistito a un movimento anche da un’azienda all’altra. Se in precedenza le risorse per presidiare questo ruolo erano ricercate prevalentemente all’interno dell’azienda, ora si assiste a una crescente mobilità».

A cosa è dovuta questa evoluzione? «Una spinta in tale direzione arriva sicuramente anche dall’esterno, con una maggiore attenzione a queste tematiche da parte della Commissione europea. Sono sorte le certificazioni, aumentate le richieste da parte degli organismi sovranazionali (come il Global Compact delle Nazioni Unite) e nazionali».

Che richieste arrivano al Csr Manager Network? «Con questa ricerca abbiamo avuto conferma dell’eterogeneità dei Csr manager, per background professionale, attività svolte, collocamento organizzativo e per modalità e tipologia di rapporti con il vertice aziendale (rapporto diretto o mediato). In questo contesto l’associazione serve da punto di riferimento per la professione».

E che risposte siete in grado di offrire? «Il Csr Manager Network è l’associazione di categoria di queste figure e offre agli associati servizi quali lo sviluppo della professionalità (acquisizione di conoscenze e competenze) e della professione (con la possibilità di una maggiore consapevolezza del valore creato dai professionisti della Csr presso pubblici differenti), la messa in comune di best practice tra colleghi. Insomma, una rete e un punto di riferimento per una professione ancora non così codificabile».