di Simone Tagliapietra *

Simone TagliapietraNel novembre del 1917 il sociologo tedesco Max Weber tenne a Monaco una conferenza dal titolo Wissenschaft als Beruf, ovvero La scienza come professione, nella quale fece confluire tutti i principali risultati da lui raggiunti nell’arco di una vita a proposito del significato e dell’utilità della ricerca scientifica nel campo delle scienze dello spirito. Giocando sull’ambivalenza del termine tedesco “Beruf”, che può significare sia “professione” che “vocazione”, Weber argomentò che oltre a essere un semplice mestiere, quella dello scienziato, o del ricercatore, è prima di tutto una missione spirituale, un qualcosa che genera passione. Insomma, un qualcosa che ha a che fare con il cuore, prima ancora che con la razionalità.

Questo passo weberiano mi è stato estremamente utile nel corso di questi miei primi due anni di dottorato di ricerca per illustrare il motivo della mia scelta a quanti (e sono stati tanti!) me ne chiedevano ragione. Quella di fare un dottorato di ricerca è, infatti, una scelta che non sempre si riesce a spiegare facilmente, in quanto tale percorso viene a volte considerato come un superfluo prolungamento di un già lungo percorso universitario se non addirittura, per usare le parole della celeberrima Marge Simpson, come «una terribile scelta di vita» (sic!).

Nel mio caso specifico la volontà di fare un dottorato è progressivamente maturata nel corso dei cinque anni di studio alla facoltà di Scienze politiche e sociali, dove un originale percorso intellettuale sviluppato tra tesi triennale prima e tesi magistrale poi mi ha permesso di amare profondamente il mio ambito di studio e desiderarne lo sviluppo, generando una sorta di reazione a catena che prosegue ancora oggi nel lavoro della mia tesi di dottorato. Deciso a cogliere lo spirito più profondo della mia facoltà, ovvero l’interdisciplinarietà, decisi infatti di sviluppare il tema dei fondi sovrani di investimento in una prospettiva politologica prima, con la tesi triennale e, in una prospettiva economica poi, con la tesi magistrale. In quest’ultimo lavoro particolare attenzione fu dedicata alle prospettive d’investimento da parte dei fondi sovrani nel settore energetico del Mediterraneo, settore ora divenuto protagonista della mia tesi di dottorato.

Sia sotto il profilo del mio percorso intellettuale che sotto il profilo del mio percorso umano, il dottorato sta rappresentando per me un’opportunità di crescita senza precedenti. Nel corso del primo anno di dottorato ho, ad esempio, avuto l’opportunità di partecipare a una serie di cicli seminariali organizzati in università dalla Scuola di dottorato e, allo stesso tempo, anche avuto modo di sviluppare la mia ricerca attraverso un’attività sul campo, rappresentata in particolare dalla partecipazione a una lunga serie di conferenze internazionali tra Cambridge e Tunisi, Bruxelles e Il Cairo, Parigi e Abu Dhabi. 

Il mio secondo anno di dottorato è stato, invece, caratterizzato da un periodo di nove mesi di visiting research a Istanbul, presso la Sabanci University. Questa esperienza ha segnato non solamente un enorme passo avanti per la mia ricerca sulla cooperazione energetica euro-mediterranea (nella quale la Turchia riveste, per l’appunto, un ruolo cruciale) ma ha anche rappresentato, più in generale, una delle più belle esperienze della mia vita.

Le esperienze qui brevemente descritte possono forse rappresentare un piccolo segno di come un dottorato possa realmente rappresentare un appassionante percorso non solo in termini scientifici ma anche e soprattutto in termini umani per tutti coloro che sentano una vocazione alla ricerca, allo studio e alla scoperta. Per tutte queste persone, il dottorato di ricerca può sicuramente rappresentare, parafrasando lo stesso Weber, il modo migliore per «obbedire al demone che tiene i fili della loro vita».

* Dottorando in Istituzioni e Politiche