Uno degli stand dell'Open day master del 1° luglio 2010Giusto, coerente con il proprio percorso di studio ed equamente retribuito. Sono queste le tre caratteristiche principali che i giovani del 2010 attribuiscono al lavoro ideale, quello a cui ambiscono una volta usciti dalle università. Soprattutto in una fase in cui, complice la crisi economica, trovare un’occupazione sembra essere diventato quasi un miraggio. Una conferma che arriva anche dai recenti dati Istat sull’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro: a maggio il tasso di disoccupazione giovanile ha toccato il 29,2%, il dato peggiore dal 2004. Uno scenario desolante che offre poche prospettive e mette gli italiani in condizioni di svantaggio rispetto ai loro coetanei europei. Forse è per questo motivo che molti neolaureati, nel tentativo di stare al passo con i colleghi dell’area euro e assicurarsi un migliore futuro professionale, scelgono sempre più la strada della formazione post-graduate, considerata ormai un vero e proprio trampolino di lancio per un più facile inserimento nel mondo del lavoro.

Ma fino a che punto un master può veramente completare la propria auto-realizzazione? È da questo interrogativo di fondo che ha preso la mosse la tavola rotonda che giovedì 1° luglio ha dato il via all’Open day Master dell’Università Cattolica, un momento di incontro proposto dall’ateneo del Sacro Cuore per presentare i circa 50 master di primo e secondo livello promossi per l’anno accademico 2010-2011 nella sede milanese. Realizzare se stessi e far crescere il Paese. Dove puntano i master, cosa chiedono gli studenti: questo il titolo del dibattito al quale hanno partecipato Nando Pagnoncelli, presidente del gruppo Ipsos in Italia nonché docente di Modelli e processi della pubblica opinione in Cattolica, Michele Riva, coordinatore editoriale della rivista L’Impresa e direttore Unità d’affari Economia e management il Sole 24 Ore, e Michele Faldi, direttore Alta Formazione e Alte Scuole dell’Università Cattolica.

La tavola rotonda dell'Open day master, il 1° luglio 2010«Il valore che i giovani attribuiscono alla formazione è legato al periodo di crisi che viviamo - ha osservato Pagnoncelli -. Negli ultimi anni le dinamiche sociali sono state incentrate sul concetto di qualità della vita, con una forte accentuazione dell’individualismo. Ciò ha fatto sì che anche la formazione assumesse caratteri individuali». Non a caso quando agli studenti, e ai rispettivi genitori, si chiede che cosa si aspettano dalla formazione universitaria due sono le risposte che primeggiano: acquisire competenze utili a trovare un posto di lavoro e socializzazione. Mentre quasi mai emerge la necessità di una crescita dell’individuo a 360 gradi. «C’è una forte centratura sul sé e una scarsa consapevolezza del ruolo sociale del lavoro - ha notato Pagnoncelli -. Colpa anche della mancanza di politiche pubbliche volte a sostenere l’occupazione giovanile e la valutazione dei meriti».

Secondo Michele Riva è alquanto complicato parlare di ingresso nel mondo del lavoro in un momento in cui molte imprese sono costrette a chiudere i battenti. Eppure alcuni segnali positivi cominciano a vedersi. «Da una recente indagine condotta sui direttori del personale - ha ricordato Riva - emerge che il 75% ha dichiarato che nei prossimi mesi farà nuove assunzioni». Certo, resta ancora la difficoltà di far incontrare offerta e domanda. In questo senso, ha aggiunto Riva, nell’ultimo periodo un utile aiuto lo stanno dando le inserzioni sul web e i servizi di placement delle università, strutture sempre più idonee per mettere in contatto neolaureati e realtà imprenditoriali.

Quanto ai requisiti richiesti al candidato, oltre al percorso didattico, entrano in gioco altre caratteristiche. «Oggi i recruiter nei colloqui di lavoro valutano componenti - ha specificato Michele Faldi -, che spesso non rientrano in un percorso universitario classicamente inteso. Ecco perché prima di scegliere un corso di formazione post laurea vale la pena fare una riflessione su di sé per capire meglio quali sono le proprie inclinazioni e individuare così la strada da intraprendere». Un modo per dire che prima di tutto contano le proprie capacità personali e che il master universitario non ha un valore definitivo ma aggiunge solo un ulteriore tassello al lungo percorso della propria realizzazione personale.