Un barcone di immigratiUn lavoro di ricerca sul campo durato oltre due anni, che mira a colmare una lacuna nell’informazione sulla nuova schiavitù del nostro tempo. Il libro Confessioni di un trafficante di uomini (edizioni Chiarelettere) è stato presentato il 28 ottobre in Università Cattolica nell’ambito del corso di Storia e istituzioni dell’Africa della professoressa Beatrice Nicolini (facoltà di Scienze politiche e sociali).
Come spiega uno dei due autori del libro, Giampaolo Musumeci (nella foto in basso), «finora questo fenomeno è stato raccontato quasi solo dalla parte del migrante, oltretutto concentrandosi quasi esclusivamente su Lampedusa e la tragedia degli sbarchi via mare».

L'idea del fotografo e videoreporter di Radio 24 e del criminologo Andrea di Nicola, è invece quella di «iniziare il racconto là dove finisce la storia» ossia di indagare cosa c'è esattamente dietro la (tragica) superficie dei barconi stracolmi di uomini e donne. I due autori sono andati alla ricerca dei personaggi che tirano le fila di questo traffico. Non si tratta, è ovvio, dei semplici scafisti, a loro volta addirittura migranti con qualche minima conoscenza di navigazione cui è regalato il passaggio verso l'Italia in cambio di qualche ora alla barra del timone.

Giampaolo MusemiciIl vero «smuggler» è colui che organizza il viaggio e che naturalmente nella maggior parte dei casi se ne guarda bene dal correre il rischio di esporsi in prima persona. Musumeci e De Nicola nella loro indagine hanno scoperto che i trafficanti di uomini si considerano quasi come benefattori: a fronte a di una domanda, che racchiude il desiderio di molti disperati di abbandonare il proprio Paese e raggiungere l'Europa, offrono una risposta: un viaggio che, per quanto pericoloso, offre pur sempre una speranza.

Il traffico di esseri umani quindi si è trasformato in questi anni in una sorta di immensa agenzia criminale di viaggi, che ricava dalla traversata di un singolo barcone anche 500 mila euro. E il Mediterraneo, nel suo complesso, si stima ne valga 150 milioni. La prima caratteristica è l'estrema varietà dell'offerta, che segue e si adegua prontamente alla domanda. È fuorviante pensare che il traffico di uomini si limiti a quello via mare sorvegliato fino ad ora dalle navi della Marina Militare Italiana: in realtà, fino al 2012, i Balcani rappresentavano una via di accesso molto più facile e più battuta (fino a 20-30 accessi al giorno dalle frontiere italiane orientali), insieme all'insospettabile aeroporto di Fiumicino.

Nel libro il lettore viene accompagnato a incontrare dodici trafficanti, operanti in vari punti delle sponde del Mare Interno (in Egitto, per esempio, o in Tunisia, ma anche nei Balcani). In modo alquanto sorprendente, il ritratto di uno smuggler ideale è quello di una persona affabile, ben vestito, che conosce le lingue, che ha esperienza del mondo e che, soprattutto, conosce bene le frontiere e sa come attraversarle e farle attraversare agli altri. Non a caso molti di questi trafficanti erano all'inizio taxisti o camionisti, che si sono scoperti dotati di una vera e propria capacità imprenditoriale per inventare e gestire quello che considerano un business come gli altri.

Molti gli aneddoti che ravviano il libro e il racconto di Musumeci, dal piccolo smuggler serbo che si limita ad accompagnare col suo taxi i migranti dal centro di accoglienza in Serbia fino al confine con un viaggio di 300 km, che vale 50 euro a testa per le mille persone che trasporta ogni anno, al trafficante turco che riempie fino all'orlo di clandestini lo yacht di lusso che, fingendo di fare una crociera tra le isole dell'Egeo, si spinge, come casualmente, a fare una puntata a Otranto, dove sbarca il suo «carico» umano.

C'è la trafficante misteriosa, nota solo come «La grande sorella», che dall'America meridionale organizza finti viaggi turistici in Italia, per cui è facile avere il visto, ma che poi dirotta le persone da Fiumicino alla Spagna, dove, vista la provenienza intra-Schengen, vengono lasciate passare senza controllo. E c'è il trafficante arabo, con una sua attività insospettabile nel paesino dove abita, che fa entrare legalmente in Italia il migrante pakistano con la qualifica di bracciante agricolo e poi gli fa ottenere l'asilo politico spiegandogli come spacciarsi, agli occhi delle autorità italiane, come profugo afgano in fuga dai talebani: un trucco possibile perché le regioni dei due paesi vicino al confine sono abitate dalle stesse tribù che parlano la stessa lingua e i cui membri sono di fatto indistinguibili.

La prospettiva dell'analisi di Musumeci e Di Nicola è alquanto pessimistica, perché nasce da una considerazione realistica: più forti sono le barriere con cui l'Europa e i Paesi ricchi in genere cercano di difendersi, più forte è l'interesse e il guadagno a oltrepassarle. «Non li fermerete mai» commenta a un certo punto uno smuggler intervistato dagli autori: «Mosè è stato il primo scafista della storia».