di Marco Lombardi *

Di quello che è successo a Berlino la sera del 19 dicembre sono pieni i media: un camion piomba sul mercatino di Natale della capitale, morti e feriti sono il risultato.
 


La vulnerabilità non è nell’evento: per sua natura poco prevedibile come tutti gli eventi tragici che hanno colpito l’Europa in questi mesi, orientati dalla capace propaganda di Daesh (o Isis). La vulnerabilità è nei paradigmi interpretativi che. ancora, giornalisti ed esperti impiegano per spiegare sui media l’accaduto.

Qualcuno ha sostenuto la volontà di colpire i simboli dell’occidente, sostenendo che come a Nizza il 14 luglio si volle colpire la festa laica rivoluzionaria della Bastiglia, così a Berlino si è voluto colpire una festa cristiana come il Natale, attaccando il mercatino prossimo alla chiesa. Sono vaneggiamenti assurdi. Altri sostengono che la Germania sia nel mirino per il supporto, seppure indiretto, che sta dando alle operazioni di combattimento contro Daesh in Siraq. E questa sarebbe anche la ragione per la quale l’Italia per ora è indenne da attacchi. Non è vero.

L’Italia entra anche nei commenti quale Paese da cui il Tir è partito per andare a Berlino sulla via di casa con destino Polonia, ritornando alla giustificazione per la quale essere una base logistica presuppone una sorta di area franca del jihad. Molti si dimostrano fortemente attendisti, perché l’attentatore potrebbe essere un “arrabbiato” per tante ragioni diverse dalla scelta di adesione a Daesh.

Tutte queste interpretazioni sono un esempio della totale incomprensione dello spirito con cui Daesh colpisce: interpretazioni etnocentriche, tutte fondate sulla esportazione dei nostri modi di guardare al mondo, senza calarli nella realtà del terrorismo del ventunesimo secolo. Daesh, una realtà complessa e articolata, vive di semplicità, opportunità, flessibilità, diffusività e delocalizzazione.

Il terrorismo è tale per gli effetti degli eventi che produce, che richiedono una risposta a breve per le politiche di sicurezza e di difesa dalla minaccia. Le ragioni del diventare terroristi possono essere molteplici, ma nel breve tempo sono ininfluenti sul grado della minaccia e richiedono politiche a lungo termine per eliminare le ragioni della scelta violenta. Ma, appunto, questa è un’altra storia.

Daesh ha dalla sua una efficace propaganda che da mesi insiste sulla necessità di colpire comunque e ovunque, con i mezzi della quotidianità, i nemici: il magazine del Califfato, Rumiyah, nel terzo numero del mese scorso ha bene descritto come utilizzare un mezzo pesante per scagliarsi sulla folla. Poi è seguito, una settimana fa, un video che spiegava come uccidere col coltello e con una bomba casalinga e si chiudeva rilanciando proprio Rumiyah come tutorial.

Questa propaganda interseca tutte le motivazioni, ormai le più variegate, che informano i processi di radicalizzazione: islamisti ferventi e criminali opportunisti, pazzi dementi e arrabbiati furiosi si abbeverano a questa fonte per manifestare la violenza della protesta. E Daesh ci mette sempre il cappello sopra, indipendentemente dalle ragioni del terrorista: così ha successo e si appropria dell’attacco che, comunque, diventa un attacco islamista e jihadista. Alla fine la rivendicazione arriva: l’attentato è un fatto funzionale al Califfato. Che importano le ragioni?

Questa propaganda ha colpito il mercato di Natale ieri perché è semplicemente l’evento più affollato prima che un simbolo. Ha colpito in Germania non perché affianca le truppe combattenti ma perché è ricca di manovalanza di ritorno dalle aree di conflitto dove ha combattuto per Daesh e dove il substrato islamista si rigenera costantemente. L’Italia non ha alcun ruolo: è molto probabile che il camion sia stato rubato già a Berlino dal terrorista, che potrebbe avere ammazzato il guidatore polacco per dirigersi sul mercato.

Come sempre in Daesh si legge l’opportunismo, che è lo sfondo diffuso sul quale poggia il training specifico della propaganda che spiega come uccidere. Ma non l’abbiamo ancora capito. Pertanto ogni tentativo di anticipare gli attentati e ridurre la minaccia si scontra con l’interpretazione deviata degli eventi, che non è condivisa dai perpetratori del Califfato.

Il terrorismo è parte integrante della guerra ibrida che sconvolge il pianeta, la Terza Guerra mondiale a capitoli descritta da papa Francesco nell’agosto 2014, che non è contemplabile dalla politica occidentale perché guerra è una parola non ammissibile dalla politica, che non è governance, e dall’opinione pubblica, che vuole restare sorda. Le guerre ormai non sono più contenute all’interno di territori geografici delimitati, se non per alcune azioni convenzionali di combattimento, ma sono diffuse attraverso altre geografie che abbiamo anche teorizzato senza voler comprenderne gli effetti. Siamo sempre in ritardo.

* docente di Gestione del rischio e crisis management, direttore di Itstime (Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies) e autore del libro Il terrorismo nel nuovo millennio (Vita e Pensiero, 2016)