«Abbiamo deciso di scrivere una storia ambientata in Paraguay perché è un Paese desaparecido dalle televisioni e dai giornali. Non ha sbocchi sul mare, ed è una terra oppressa dalla povertà e da un Novecento di dittature. Anche della visita di Papa Francesco nel 2015 è rimasto poco: qualche foto della sua messa ad Asunción, la capitale, e nulla di più».

Così Laura Pariani presenta il suo nuovo romanzo Che Guevara aveva un gallo (Sellerio Editore) nell’aula Pio XI dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il libro è stato scritto a quattro mani con Nicola Fantini, scrittore, traduttore e co-autore con lei anche di Nostra Signora degli scorpioni. L’incontro è moderato da Sonia Bailini, della Libreria Vita e Pensiero, alla presenza dei professori dell’Ateneo Ermanno Paccagnini docente di Letteratura italiana, e di Dante Liano, docente di Letteratura ispanoamericana.

Che Guevara aveva un gallo narra delle rocambolesche avventure di Beppe e Mirella Isnaghi, una coppia di milanesi che partono alla volta del Paraguay per ritrovare il figlio, un archeologo che lavora nelle missioni gesuite. Attraverso questo viaggio, gli autori svelano una terra quasi sconosciuta a chi vive in Europa e analizzano il connubio fra natura selvaggia e civiltà.

«Il Paraguay è il paradiso delle multinazionali, perché possono comprare i terreni a poco prezzo con il benestare del governo. In più, lo Stato garantisce rimborsi nel caso in cui gli affari non “decollino”. Il Pil cresce ogni anno del 13%, ma le persone spesso non hanno una casa. Ad aiutare la popolazione ci sono i Gesuiti e altre associazioni cattoliche, che storicamente hanno significato molto per questo Paese. I veri padroni del Paraguay sono i latifondisti – aggiunge Laura Pariani – mentre la gente comune, fino a non molto tempo fa, doveva spostarsi lungo il fiume, perché le strade non esistevano».

Poi racconta un aneddoto: «In uno dei miei tanti viaggi in Paraguay, stavo percorrendo una strada in macchina. Nulla di eccezionale, se non fosse che a un certo punto mi sono trovata davanti a un cancello, con un uomo armato che mi intimava di tornare indietro. Quel percorso era segnato sulla cartina e non era segnalato come proprietà privata, ma il latifondista di turno non si era fatto alcuno scrupolo nell’appropriarsene».

Nicola Fantini è dello stesso parere: «Ho imparato a conoscere il Paraguay come un territorio per sperimentare tutte le utopie possibili. È un Paese isolato, dove chiunque può permettersi di creare la sua comunità, con un taglio più o meno conservatore».

Dalla politica alla prosa, Laura Pariani racconta il vero significato della scrittura: «I personaggi dei libri sono come le persone reali. La gestazione di un romanzo può anche durare due anni, quindi bisogna scegliersi con cura i propri compagni di vita. Scrivere di un uomo o di una donna significa addentrarsi nella sua psicologia, per porgli delle domande e capire anche di più di se stessi. Desidero che i miei personaggi parlino con me, che mi stupiscano, per regalarmi esperienze uniche».

In passato il Paraguay è stato il teatro delle grandi migrazioni del Novecento, che hanno coinvolto gran parte del Sud America. «L’immigrazione è un problema troppo grande perché la letteratura possa fornire qualche risposta. Può raccontare le speranze di chi parte con un sogno e i tormenti di chi resta ad aspettare. I romanzi descrivono la realtà con i loro mezzi e spesso chi insegue un sogno rimane deluso, passando dalla povertà alla miseria. E quando si torna a casa, ci si sente degli estranei nella propria terra».