La consegna della laurea honoris causa a Wolfgang Brezinka da parte del rettore Franco AnelliUna lectio cathedrae magistralis che mira a riaprire un riavvicinamento tra pedagogisti ed educatori. La consegna della laurea honoris causa in Scienze pedagogiche da parte della facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica a Wolfgang Brezinka, il più importante pedagogista cattolico di lingua tedesca, è stata l’occasione per un’ampia riflessione sulle conseguenze della “scientifizzazione” della pedagogia. Un processo che, affermatosi a partire dagli anni Sessanta del Novecento soprattutto per motivi politico-professionali, ha condotto all’allontanamento dei “teorici dell’educazione” (pedagogisti) dai “pratici dell’educazione” (educatori), collocandoli, di fatto, in due mondi professionali differenti.

Secondo Brezinka, il distacco ha spostato il fuoco della ricerca dall’ambito del cosiddetto “sapere indispensabile” per gli educatori dando corso a una «gigantesca espansione dell’oggetto della pedagogia, che è diventata una disciplina estremamente confusa». Un veloce e disordinato allargamento di campo che, ponendo in secondo piano il nesso storico tra ricerca scientifica e antica pedagogia, ha condotto allo smarrimento dei criteri per distinguere «le conoscenze pedagogiche utili da quelle insignificanti».

Il processo di scientifizzazione della pedagogia, almeno così come si è sviluppato negli ultimi cinquant’anni, sembra avere dimenticato due premesse fondamentali. Per ricordare la prima, Brezinka ha ricordato le parole utilizzate da John Henry Newman nel suo saggio “The Idea of a University”: “Fare ricerca e insegnare sono due azioni diverse; si esprimono in esse parimenti due…diversi talenti”. 



La seconda riguarda invece la irriducibilità della pedagogia alle regole delle scienze sperimentali. Nella pedagogia empirica, infatti, alcuni “dati di fatto” come «i valori, gli scopi e gli ideali delle persone» finiscono per essere considerati esclusivamente ai fini della descrizione dei fenomeni educativi. Di qui la perdita della normatività della pedagogia e la delusione delle aspettative degli educatori, che manifestano invece «un enorme bisogno di un orientamento educativo di tipo normativo», che non può essere soddisfatto dal «pot-pourri della pedagogia scientifizzata».

Secondo Brezinka la crisi della pedagogia - una crisi, a suo dire, di carattere internazionale - consiste soprattutto nella «perdita della sua significatività esistenziale». Per questo occorre superare una serie di illusioni e di promesse non mantenute, a cominciare dall’errore di ritenere possibile «una scienza sperimentale autonoma della totalità dei fenomeni educativi» e dalla convinzione infondata che «il personale docente della pedagogia “scientifizzata” debba e possa condurre una ricerca estremamente specializzata e, al tempo stesso, fornire la migliore formazione possibile agli educatori».

Più radicalmente, per Brezinka, occorre abbandonare l’ideale di “una teoria generale dell’educazione” poiché è impossibile includere scopi scientifici, morali e operativi in un unico sistema teorico. Urge allora distinguere «tre grandi tipi di teorie pedagogiche»: scienza empirica dell’educazione, filosofia dell’educazione e pedagogia pratica, essendo però consapevoli del fatto che, dal punto di vista politico-culturale, la priorità spetta «a una solida e realistica pedagogia pratica». 

I compiti fondamentali di insegnanti ed educatori, a lungo trascurati dalla “pedagogia scientifizzata” vanno rimessi al centro delle preoccupazioni pedagogiche. Tutto ciò, ha concluso Brezinka, richiede il rispetto di ciò che egli ha definito come la «polarità tra ragione e sentimento, scienza e fede, testa e cuore». Tutti elementi fondamentali senza i quali non solo «non si può fare una buona educazione» ma neppure elaborare «una teoria realistica dell’educazione stessa».