di Francesca Maci e Gian Paolo Barbetta *

La crisi economica e finanziaria che il nostro paese ha attraversato negli ultimi anni ha imposto un costo elevato al sistema italiano di welfare, soprattutto perché le ricette adottate per riavviare i sistemi economici occidentali hanno portato a qualche drastico taglio di spesa pubblica, in particolare a quella degli enti locali, a cui è in carico l’erogazione di molte prestazioni sociali non monetarie. Così il nostro sistema di welfare è ora preso entro una morsa: tagliare la spesa per ottemperare alle ricette di rilancio dell’economia, da una parte, e, dall’altra, dare risposta alla crescente domanda di prestazioni che proprio la crisi ha contribuito a innescare.

È in questo contesto che si è acceso il dibattito sulla “ricalibratura” del welfare italiano, cioè su riforme che non si limitino a tagliare i costi delle prestazioni offerte, ma siano in grado di affrontarne le principali criticità: l’attitudine a “risarcire“ eventuali danni piuttosto che a prevenirli; la scarsa attenzione a promuovere l’autonomia delle persone; la tendenza a erogare prestazioni monetarie, anziché servizi; la forte ritrosia a misurare l’efficacia delle prestazioni e – al contrario – la tendenza a giudicarne la bontà esclusivamente sulla base della quantità di risorse dedicate (sicché politiche più costose sono quasi automaticamente ritenute migliori di altre).

Crescono dunque il bisogno e l’interesse verso servizi e interventi precoci e leggeri, in grado di prevenire situazioni di disagio individuale e collettivo, di lavorare per trasformare i beneficiari in attori della propria personale rinascita, di mobilitare le risorse che le comunità possono mettere in campo per affrontare e risolvere i problemi e, di conseguenza, anche di contenere i costi delle prestazioni rispetto agli interventi tradizionali. Cresce anche – nel mondo, ma non abbastanza nel nostro Paese – la domanda di evidenza empirica rigorosa in grado di orientare le politiche (evidence based policy), per non limitarsi ai proclami formali sulla necessità di valutazione o alla stucchevole retorica delle buone pratiche (spesso tali solo per auto-dichiarazione).

Le Family Group Conference (Fgc) rappresentano un interessante tentativo (che si diffonde sempre più sia all’estero che in Italia) per riformare le prestazioni del welfare nella direzione dei servizi leggeri e preventivi; un recente progetto (“Riunioni di famiglia”, gestito dal Consorzio Comuni Insieme e dall’Università Cattolica) ha provato ad applicarle alla prevenzione del disagio scolastico - con l’obiettivo di aumentare il benessere degli studenti e le loro prestazioni scolastiche - nonché di valutarne l’efficacia attraverso una rigorosa sperimentazione controllata. I risultati del progetto sono stati presentati il 3 dicembre in un convegno in Cattolica.
 
Le Fgc in ambito scolastico sono un intervento leggero, facilitato da figure non professionali che stabiliscono relazioni con lo studente in difficoltà, i suoi familiari, gli insegnanti, le altre persone (dai parenti agli educatori dell’oratorio) rilevanti per il benessere del ragazzo. Questi soggetti sono guidati in un processo con pochissimi elementi prestabiliti: una riunione di discussione del problema fra tutti gli attori coinvolti e la predisposizione di un progetto personalizzato, siglato e poi agito da tutti. La Fgc riporta le famiglie e le comunità al centro della scena, le aiuta a rendersi conto dei problemi relazionali e didattici dei ragazzi e le sostiene nello sviluppo autonomi progetti di intervento sugli stessi. Si tratta di elementi utili per un welfare che deve muoversi nella direzione della prevenzione dei problemi e della mobilitazione delle risorse proprie degli utenti. Il progetto è però andato oltre la presunzione di efficacia delle Fgc e ne ha valutato rigorosamente l’effetto attraverso una logica controfattuale, chiedendosi cioè che livello di benessere e quali risultati scolastici avrebbero avuto gli studenti che hanno partecipato alle Fgc nel caso in cui non avessero avuto la possibilità di prendere parte alle stesse.

Per rispondere a questa domanda si è fatto ricorso a un esperimento controllato randomizzato (o randomized controlled trial, Rct). In particolare, i 131 ragazzi a cui è stato proposto di prendere parte a un Fgc sono stati estratti a sorte da un più ampio gruppo di 261 studenti in difficoltà che gli insegnanti delle 14 scuole secondarie di primo grado del Bollatese avevano candidato al progetto. Ai ragazzi estratti (il “gruppo di trattamento”) è stato effettivamente proposto di partecipare alla Fgc, mentre il gruppo dei non estratti (“gruppo di controllo”) è stato utilizzato per descrivere la situazione media in cui si sarebbero trovati i trattati se non avessero avuto accesso all’intervento. Dal confronto tra i trattati e i controlli si è ottenuta una stima dell’effetto medio della partecipazione a una Fgc sul benessere e sui risultati scolastici dei ragazzi. Delle 131 famiglie a cui è stato proposto di partecipare a una Fgc, 83 hanno deciso di aderire alla proposta (e sono stati effettivamente trattati secondo il protocollo), mentre le restanti 47 non hanno accettato.

L’effetto delle Fgc sul benessere e sui risultati scolastici dei ragazzi è stato misurato sia attraverso un questionario - con domande che hanno consentito di rilevare nel tempo le opinioni dei ragazzi relativamente al loro rapporto con gli insegnanti, con i genitori e con i compagni, il livello di soddisfazione complessivo derivante dall’esperienza scolastica e la percezione della propria efficacia nello studio – sia attraverso variabili più “oggettive”, come il numero di assenze, le note e i voti ottenuti dagli studenti. Inoltre, in futuro sarà possibile studiare anche l’effetto delle Fgc sui risultati di apprendimento nei test standardizzati e sulla dispersione scolastica.

I dati mostrano che le Fgc hanno prodotto un cospicuo insieme di effetti sul benessere, mentre non appaiono risultati significativi sui risultati scolastici. In primo luogo,hanno accresciuto la percezione di sostegno familiare nell’esecuzione dei compiti a casa, soprattutto da parte dei genitori, con un’estensione della rete di sostegno per i ragazzi. Si osserva che i ragazzi che hanno partecipato ad una Fgc sono più soddisfatti dei propri rapporti in famiglia. È interessante notare che l’aiuto nei compiti si trasforma anche nella percezione da parte dei ragazzi di un maggior supporto dei genitori anche per problemi non meramente scolastici. Inoltre le Fgc paiono aver accresciuto la consapevolezza negli studenti che i docenti non sono a loro ostili e aver migliorato la percezione dei rapporti con gli insegnanti. Infine, si rileva anche un ampio insieme di effetti su dimensioni importanti per l’apprendimento: si riducono le emozioni negative legate alla scuola (come per esempio l’ansia), cresce la tranquillità per la vita quotidiana e si è più soddisfatti rispetto alla propria capacità di studiare e al proprio rendimento.

L’insuccesso dell’intervento nel modificare gli indicatori “oggettivi” non deve invece portare a pensare che esso sia stato inefficace, visto che questi indicatori richiedono maggior tempo per manifestare eventuali effetti benefici degli interventi. Il progetto è stato ben accolto e accettato nelle scuole, anche nei suoi elementi potenzialmente più controversi, come la scelta casuale dei destinatari, mostrando come la l’introduzione di interventi di welfare leggeri e preventivi, nonché la loro valutazione rigorosa, sia possibile anche nel nostro paese.

* Rispettivamente docenti di Metodologia del servizio sociale ed Economia dei sistemi di welfare nella facoltà di Scienze politiche e sociali


L’articolo è stato pubblicato sul quotidiano “Avvenire” il 3 dicembre 2015