Come sopravvivere da schiavi in fuga è il tema che il direttore del Journal of Global Slavery Damian Pargas ha tenuto nell’ambito dei corsi in Storia e istituzioni dell’Africa, Religioni, conflitti e schiavitù e Storia delle Relazioni politiche tra il Nord America e l’Europa

I rifugiati dalla schiavitù nell’America del 1800 e i rifugiati oggi in Europa, i confini politici e le condizioni di coloro che fuggono. Questi alcuni dei temi di ricerca proposti da Damian Pargas, Ph.D., Leiden University Institute for History, The Netherlands, direttore del Journal of Global Slavery, invitato grazie al Dipartimento di Scienze Politiche e introdotto dal suo direttore Massimo de Leonardis, l’11 novembre 2015, nell’ambito dei rispettivi corsi di Storia e istituzioni dell’Africa, Religioni, conflitti e schiavitù e Storia delle Relazioni politiche tra il Nord America e l’Europa, da Beatrice Nicolini e Gianluca Pastori.

La paura, la paura di venir scoperti a causa del proprio colore della pelle, la paura di essere divisi dalla propria famiglia, di venir ricatturati e puniti, forse uccisi, erano i sentimenti prevalenti per milioni di neri negli Stati Uniti d’America durante i conflitti di secessione. La possibilità di fuggire, di scappare verso quegli Stati americani che nel diciannovesimo secolo garantivano la libertà ai neri, che consentivano flussi nei centri urbani e dove le comunità religiose creavano nuovi centri di aggregazione veniva vissuta nel terrore permanente di trovarsi braccati, spesso con documenti falsi comprati con i pochi dollari di lavoro a cottimo, di sopravvivere, appunto, nella pancia della bestia.

In quei Paesi che si schierarono contro gli schiavi fuggitivi, dove ogni movimento sospetto poteva rappresentare un pericolo di vita, molte erano le fughe, inizialmente disorganizzate nelle boscaglie e nelle foreste, e poi presto stabilizzate tramite una serie di reti, verso il nord America, e cioè verso il Canada. Si affiancavano alle fughe verso il Messico, dove la vita era difficile rispetto al nord del continente americano, ma dove i confini politici erano da sempre scarsamente delineati e per questo meno difficili da violare. E mentre gli schiavi afroamericani si moltiplicavano e si stabilizzavano fino a “dimenticare” l’Africa, gli schiavi brasiliani, importati dagli schiavisti oltre le abolizioni, rammentavano le loro origini fino a creare movimenti politici e centri di forte autodeterminazione. Molti dunque gli stimoli e le simmetrie con le problematiche migratorie globali.