«Noi Yanomami, popolo indigeno di queste terre, genitori delle generazioni esistenti e future, responsabili della sopravvivenza dei popoli indigeni, chiediamo con forza la tutela dei nostri diritti». Così gli Yanomami rivendicano il rispetto per la loro identità, il diritto a un’esistenza possibile, alla proprietà della terra. Sono indigeni dell’Amazzonia e abitano il Roraima, uno stato nella parte settentrionale del Brasile.  Grazie alle immagini della mostra Amazzonia. Una diversa prospettiva l’urlo degli Yanomami è arrivato a Milano. Allestita dell’associazione Impegnarsi serve e dai Missionari della Consolata, presenti in Brasile, la rassegna è ospitata nel primo chiostro dell’Università Cattolica. «La mostra - spiega Viviana Premazzi, volontaria di Impegnarsi serve – prende il nome dal libro omonimo scritto da un gruppo di sette volontari dell’associazione, che hanno raccolto una serie di testimonianze di viaggio nell’estate del 2008».

La mostra, densa, nonostante le ridotte dimensioni, è organizzata in tre parti. Ogni sezione è accompagnata dalla proiezione di un video e da un ricco apparato iconografico. La prima parte, dedicata alla foresta e ai suoi abitanti, dà conto della devastazione compiuta ai danni della selva e degli indigeni fino a comportarne l’estinzione. Per millenni le tribù locali sono riuscite a convivere con la foresta rispettandola e traendone nutrimento. Padre e madre degli indios, la selva è da cinque secoli oggetto del desiderio dei predatori forestieri. Solo negli ultimi trent’anni la foresta ha perso 520 mila km quadrati, e ogni giorno ne spariscono ben 52. Proseguendo, nella seconda sezione, ci si scontra con i crimini commessi da  conquistadores antichi e moderni contro la foresta e le sue genti. I fazenderos e i garimperos prima, con le loro aziende e la frenetica ricerca dell’oro; le multinazionali e le compagnie petrolifere poi. Tutti predatori di una terra appetita per la presenza di legname, petrolio, oro e giacimenti minerari. La costruzione di grandi dighe, gli incendi dolosi appiccati per favorire l’allevamento, gli impianti per l’estrazione militare, hanno condotto nel passato a uno spietato genocidio degli indios e, nel presente, a una corsa alle risorse naturali sul territorio. Il prezzo da pagare – altissimo – è la dispersione di quell’ultimo centinaio di tribù indigene superstiti.

Il percorso si chiude con un ultimo segmento dedicato agli Yanomami, il popolo simbolo della presenza parlante degli indigeni, in grado di associarsi e combattere per i propri diritti. Hutukara è l’associazione fondata dalla popolazione con la finalità di portare a Brasilia le proprie richieste e di difendere la futura generazione dal flagello che ha colpito e continua a colpire le tribù amazzoniche: la dispersione della cultura, della lingua, dei rituali, di se stesse. Infatti, gli Yanomani parlano portoghese per rivendicare la propria identità ma hanno conservato la loro lingua. Conoscono l’uomo bianco, hanno imparato a utilizzare gli strumenti delle cultura occidentale, ma senza snaturarsi, e senza smettere di educare i bambini nella ritualità della loro storia. Le tre sezioni della mostra sono state oggetto di riflessione anche in occasione del convegno Lasciamoci educare dagli Indios. I professori Giovanna Salvioni e Giancarlo Rovati hanno sottolineato la ricchezza dell’area amazzonica e il suo essere in bilico tra modernità e tradizione. Gli interventi di padre Giovanni Saffirio e monsignor Augusto Castro si sono addentrati nel rapporto tra natura, spiritualità e umanità in quel luogo unico che è la Selva. Infine, Davi Kopenawa, leader degli Yanomani, e Corrado Dalmonego, hanno portato la testimonianza diretta e il dubbio: cosa è possibile fare (presto) per slavare il futuro degli Yanomani e per evitare i pericoli che cancelleranno la foresta e la sua gente?