«Non è un’ipotesi balzana immaginare che Ebola possa essere usato per un attentato terroristico». Un’eventualità di cui tener conto secondo il professor Vittorio Emanuele Parsi, direttore dell’Alta Scuola in Economia e Relazioni internazionali (Aseri): «Se qualcuno avesse previsto la dinamica degli attentati dell’11 settembre gli sarebbe stato risposto che si trattava di fantascienza». Secondo l’esperto di relazioni internazionali dell’Università Cattolica, l’idea della bomba umana non è così assurda, anche se non ha nulla a che fare con l’immigrazione clandestina. L’ipotesi di Isis che si impadronisce di Ebola è resa plausibile della contiguità tra la zona dell’Africa occidentale dove finora si è diffuso il virus e alcuni Paesi privi di un forte presidio istituzionale.

La tesi del professor Parsi è emersa nel corso del seminario “Ebola e la nuova geopolitica della salute”, promosso il 10 novembre dall’Aseri in collaborazione con il mensile “Formiche”, a cui hanno partecipato Marco Mayer, docente all’Università Sant’Anna di Pisa, Paolo Alli, deputato del Nuovo Centro Destra, e lo stesso Vittorio Emanuele Parsi. A mediare l’interessante dibattito la giornalista di Sky Maria Latella.

Dopo il boom mediatico delle scorse settimane di Ebola non si parla più sui giornali. Ma l’Occidente non può abbassare la guardia.

«L’Unione Europea ha speso nel 2013 il 55,8% degli aiuti mondiali (circa 53 miliardi di euro)», ha spiegato Marco Mayer. Una cifra consistente che, in realtà, dimostra «che l’Unione Europea non ha rispettato molti degli impegni che aveva preso». Studiando le spese Ue in campo di cooperazione allo sviluppo Mayer si è chiesto come si potrebbe impegnare quella cifra in modo più intelligente. Tra tutti i settori - infrastrutture, educazione, agricoltura, ecc. - quello più promettente potrebbe essere la sanità.

«È il settore del quale i cittadini europei sono più soddisfatti - ha detto - . Questo potrebbe essere un segnale chiaro per le popolazioni locali: in quest’ambito l’Europa vanta meriti tecnologici e il sistema sanitario europeo sembra essere omogeneo. Il Vecchio continente quindi potrebbe essere pronto a combattere Ebola, grazie ai mezzi di cui dispone. L’interesse di vincere questa battaglia dovrebbe, e potrebbe, essere vivo nelle istituzioni europee così come in quelle africane, non solo per i rischi legati al contagio».
 
Anche Paolo Alli ha sottolineato l’importanza del termine “geopolitica” riportato nel titolo dell’incontro. «Non è una novità che la salute sia un “tema geopolitico” - ha ribadito -: le due sfere, nonostante sembrino distanti, sono correlate». Tuttavia, a monte della cooperazione, la responsabilità, è tutta sia di tipo politico sia economico. La sfida per l’Occidente è quella di avviare anche microprogetti (come un pozzo da costruire in una cittadina) - ha aggiunto Alli - purché inseriti in una strategia complessiva». La nuova legge sulla cooperazione allo sviluppo per il parlamentare Ncd «presenta un approccio più scientifico rispetto a quelle precedenti, ma bisogna avere il coraggio di metterci più soldi».

Secondo il professor Vittorio Emanuele Parsi la ragione principale in base alla quale i sentieri di sviluppo divergono è «la centralità delle istituzioni politiche». Infatti «se non c’è lo sviluppo di queste nell’Africa subsahariana, non può nascere nulla». È il grande problema di questi Paesi. «Inutile fare moralismi - ha proseguito Parsi - : se arriva in Occidente, Ebola ci interessa maggiormente per forza di cose». È però necessario tenere in considerazione, in questo discorso, l’impatto del virus sui mercati, valutando il ruolo che le pandemie giocano sulla geopolitica provocando instabilità. Un film già visto sette anni fa con l’Aviaria.