Internet e la televisione possono coesistere o quest’ultima, prima o poi, dovrà cedere il passo? E’ stato questo il tema di un incontro-dibattito promosso dal master in Media Relation dell’Università Cattolica e che ha avuto come protagonista Giovanni Floris, conduttore di Ballarò, la popolare trasmissione di approfondimento giornalistico di Rai Tre.

«Il Web è solo un mezzo – ha detto Floris - e come tutti i mezzi di comunicazione ha i suoi pregi e i suoi difetti, tutto dipende da come viene utilizzato. Si dice che internet sia un media interattivo ma su questo aspetto sono un po’ scettico. Ovviamente non bisogna generalizzare ma il pericolo, secondo me, è rappresentato dal fatto che su on line il pubblico si esprime soprattutto attraverso dei 'Sì'’ o dei 'No'. Più che democrazia è plebiscito».

Il giornalista è prudente anche sul tanto annunciato sorpasso del Web nei confronti del piccolo schermo: «Per poter usare internet bisogna innanzitutto avere un pc e una connessione. E non tutti ce l’hanno. Le masse sono ancora saldamente in mano alla televisione che raggiunge un pubblico decisamente più vasto».
«Il Nobel per la pace al Web? E’ una candidatura provocatoria, simbolica, ma direi che ci può stare. E’ chiaro che in questo caso si vuole premiare l’utilizzo 'buono' di internet. Ma lo ribadisco è solo un mezzo, come la siringa, la puoi usare per iniettare la penicillina ma anche l’eroina.».

Ma non si è parlato solo di internet. Floris non si è infatti sottratto alle domande degli studenti raccontando cosa c’è dietro al successo di Ballarò : «L'aspetto fondamentale è essere se stessi. I miei autori, professionisti eccezionali, prima hanno cercato di capire come ero fatto io e solo a quel punto hanno costruito la trasmissione. Se quando vai in onda reciti una parte, non sei naturale, il pubblico se ne accorge. E lo paghi. Le prime tre puntate di Ballarò erano state disastrose poi dalla quarta in poi è andata benissimo. La televisione è così. La cosa importante – ha aggiunto - non è ciò che il pubblico chiede al programma ma quello che io posso dare alla trasmissione».

«La chiave di lettura di Ballarò è il dubbio - ha spiegato - il nostro è un programma, se mi si consente il termine, con un’impostazione di tipo popperiano: vi diciamo una cosa e poi insieme verifichiamo se è vera. Un percorso che mira a individuare la verità attraverso un metodo che procede per tentativi ed errori. Per fare ciò, inevitabilmente, ci serviamo di dati oggettivi ed è per questo motivo che Ballarò è una trasmissione che ha una certa vocazione economica».

«I problemi con gli editori? E' normale avere delle discussioni perché si tutelano interessi diversi. Litigare con il proprio editore non è mai piacevole ma talvolta è necessario. Qualche volta se ne esce vincitori e altre volte no. E' una delle regole di chi fa questo mestiere. Non c'è libertà senza fatica, non c'è lavoro che non richieda responsabilità».

E se litigano giornalisti e editori figuriamoci i politici. In televisione gli onorevoli non se le mandano certo a dire e la loro presenza in televisione spesso si trasforma in scambi di insulti e gare a chi strilla più forte. Uno spettacolo dal quale non è esente nemmeno Ballarò. Floris però non si scompone: «La lite, anche accesa, fa parte del dibattito. Non la rifiuto a priori. L'importante è che lo scontro sia basato su dei contenuti e non sulla rissa verbale fine a se stessa. Detto questo non va dimenticato che il telespettatore ha una grande 'arma' a sua disposizione: il telecomando. E' il bello della tv. Non ti piace un programma? Cambi canale. Se poi il pubblico si lamenta un’offerta televisiva limitata ha ragione ma non è certo colpa mia...».