di Maria Pia Alberzoni*

[...] Brevi note consentono di apprezzare una precisa scelta di Francesco nelle intitulationes dei suoi scritti, innanzi tutto in quelli diretti a un destinatario collettivo. Nella prima e nella seconda redazione della lettera indirizzata ai custodi dell’Ordine, come pure in quella ai rettori dei popoli e in quella a tutti i fedeli, Francesco si connota come servus. A tale sostantivo accosta parvulus, un termine a lui caro e scelto come rafforzativo. Solo nella seconda redazione della lettera ai custodi parvulus diviene addirittura minimus, mentre nella lettera ai governanti Francesco si qualifica come «vester in Domino Deo servus, parvulus et despectus» e ancora, nella seconda redazione della lettera ai fedeli egli si presenta come «servus et subditus».

L’apice di tali espressioni si trova nella lettera rivolta a tutto l’Ordine, probabilmente dopo l’approvazione papale della regola (29.XI.1223): «Reverendis et multum diligendis fratribus universis, fratri Helie generali ministro religionis minorum fratrum domino suo, et ceteris ministris generalibus qui post eum erunt, et omnibus ministris et custodibus et sacerdotibus fraternitatis eiusdem in Christo humilibus, et omnibus fratribus simplicibus et obedientibus, primis et novissimis, frater Franciscus, homo vilis et caducus, vester parvulus servus, salutem in eo qui redimit».

Frate Francesco, dunque, si presenta sempre come servo o, meglio, piccolo servo, addirittura il minimo, che è anche sottomesso e disprezzato, spregevole e caduco ed esprime ciò con la scelta di far precedere sempre i nomi dei destinatari al suo. [...] Nell’insistenza di Francesco sul suo essere l’ultimo e il più piccolo si nota l’anelito a vivere fi no in fondo la minoritas, cioè l’essere sottomessi a tutti, come chi non ha uno status sociale elevato o è nullatenente. [...] Alla minoritas si lega la sancta paupertas, perché un ricco non avrebbe potuto essere un servo.

[...] Egli era un piccolo frate laico, ignorante e spregevole, servo di tutti, che si era fatto tale per seguire alla lettera il Vangelo e per poterlo annunciare agli uomini del suo tempo. Fu questa l’immagine di lui che si affermò, proprio perché si appoggiava sui suoi scritti. E la ricchissima produzione agiografica del primo secolo di storia dell’Ordine non poté ignorarli.
Si comprende dunque come il cardinale Bergoglio, allorché decise di assumere il nome – del tutto innovativo nella storia del papato – di Francesco, scelse consapevolmente di rifarsi all’esempio del santo di Assisi fi n dalla sua prima presentazione al popolo radunato in piazza San Pietro.

Nel breve discorso tenuto la sera della sua elezione, papa Francesco si presentò con molta umiltà, come il pastore che invita il gregge a intraprendere con lui un nuovo tratto di cammino: in particolare la richiesta di preghiere – un tratto decisamente costante nei suoi discorsi – rimanda a quell’essere piccolo e bisognoso di tutto, come pure alla consapevolezza di essere al servizio di tutti. «La Chiesa di Roma è quella che presiede nella carità tutte le Chiese» – un’autorità che non si esercita nel potere ma nel servizio –, disse sempre in quell’occasione e per questo chiese il sostegno di tutti. Il papa non è solo nel suo compito, ma «vescovo e popolo» sono uniti: prima della benedizione del vescovo al popolo viene la preghiera del popolo per il suo pastore.

Un altro segno dell’incidenza dell’esempio di Francesco sulle scelte del Santo Padre sta anche, a mio giudizio, nell’abbandono di alcuni simboli del ministero petrino. Se i papi del XX secolo, a partire da Paolo VI, hanno inteso sottolineare la valenza spirituale del loro compito con la rinuncia alla tiara, alla sedia gestatoria e ad altri simboli di un potere temporale oramai remoto, Benedetto XVI e Francesco hanno sostituito anche nel loro stemma personale alla tiara (ancora presente in quello di Giovanni Paolo II) la mitra vescovile – segno appunto del compito pastorale. Non solo: Francesco ha scelto anche di presentarsi in un ornato dimesso, senza capi d’abbigliamento rossi – il colore legato alla dignità dell’imperatore romano e passato nell’ornato papale per indicare la piena partecipazione del vescovo di Roma alla dignità imperiale, almeno dopo la cosiddetta Donazione di Costantino.

Papa Francesco, soprattutto, ha assunto il tratto tipico della spiritualità di Francesco d’Assisi: l’amore e l’attenzione per gli ultimi, i poveri, i malati, in sintesi, per i piccoli. Con la sua autorappresentazione ha espresso con chiarezza la volontà di seguire il modello del santo di Assisi e la gente ha compreso e apprezzato la sua scelta, anche perché da subito è apparso diretto il rinvio all’esperienza di Francesco.


* Il testo pubblicato rappresenta uno stralcio redazionale dell’articolo che apparirà sul numero 4/2015 del bimestrale di cultura dell'Università Cattolica “Vita e Pensiero”. Il testo integrale si potrà scaricare dalla pagina della rivista sul sito dell'omonima editrice in occasione dell'uscita nelle principali librerie italiane, l'8 ottobre 2015.

Maria Pia Alberzoni è professore ordinario di Storia medievale nella Facoltà di Lettere e Filosofi a dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, dove insegna anche Storia della storiografi a medievale. È stata Visiting professor presso diversi atenei europei. È autrice di numerosi saggi dedicati alla storia degli Ordini religiosi, ai loro sviluppi nel pieno Medioevo e ai loro rapporti con l’autorità ecclesiastica. Con Vita e Pensiero ha pubblicato di recente Santa povertà e beata semplicità. Francesco d’Assisi e la Chiesa romana (2015).