*di Luciano Caimi

Le ultime indagini nazionali sui giovani delineano un quadro eterogeneo ed articolato, che mette in luce la difficile e complessa transizione alla vita adulta. La complessità socio-culturale ha pervaso non solo la visione e l’interpretazione della realtà, la coscienza individuale e collettiva, ma anche i processi evolutivi ed i percorsi formativi. Interpretare la complessità diventa, pertanto, un’esigenza forte rispetto alla maturazione e alla crescita delle nuove generazioni. L’indebolimento della tensione a crescere, della visione prospettica e progettuale della vita, la concezione sperimentale della condizione giovanile configurano questa fase dell’esistenza come periodo particolarmente significativo per il conseguimento dell’identità, dell’autonomia personale e sociale. Siamo dinnanzi a compiti di sviluppo, che interpellano direttamente l’educazione.

Circa le difficoltà nell’accesso alla vita adulta da parte delle giovani generazioni, possiamo convenire con chi insiste sulla dilatazione progressiva della giovinezza, che rischia di diventare una vera e propria “moratoria psico-sociale”, contraddistinta da spinte e tensioni esplorative all’insegna della reversibilità e della modificabilità continua. Ad esasperare tali atteggiamenti contribuiscono, talvolta, modelli educativi di adultità fragili, sullo sfondo di rapporti intergenerazionali complessi, animati da dinamiche di “incontro” e “scontro”. Ci troviamo di fronte ad una generazione, per dirla con Zygmunt Bauman, “fluida”, “liquida”, che ha assunto la flessibilità, l’adattabilità, la mobilità continue come peculiarità identitaria, strategia esistenziale, modalità lavorativa. Il rischio paventato è la diffusione di una incertezza strutturale e valoriale che alimentano disorientamento e precarietà esistenziali. Il mancato riconoscimento di queste complessità strutturali può incidere sull’individuazione delle risorse e delle potenzialità formative insite nel mondo giovanile, acuendo il processo di rallentamento dell’ingresso nella vita adulta.

Lungo tale direzione si inserisce il convegno di giovedì, 26 e venerdì, 27 novembre “Il confine sottile. Culture giovanili, legalità, educazione”, organizzato dal Centro studi per l’Educazione alla legalità presso l’Aula Magna dell’Università Cattolica in Via Trieste. L’iniziativa intende riflettere sul complesso rapporto tra nuove generazioni e legalità, sui mutamenti avvenuti circa la percezione del rischio, del confine di ciò che è bene e male, giusto e ingiusto, sui concetti di trasgressione, regola e norma, per verificarne l’impatto e le conseguenze sul piano educativo. Il convegno, articolato in tre sessioni, inizierà giovedì pomeriggio alle ore 14.30 con le relazioni della sociologa Elena Besozzi, dello psicologo Luigi Regoliosi e del pedagogista Ivo Lizzola. Gli studiosi metteranno a fuoco rispettivamente i bisogni di appartenenza, la complessità esistenziale, le fragilità delle giovani generazioni e le relative sfide per l’educazione. Venerdì mattina sarà dedicato alla “fenomenologia del confine”, cioè alle questioni dello sballo e della notte, dello sport e del tifo, della musica e del virtuale, così presenti nei vissuti e nelle esperienze quotidiane della gioventù. Venerdì pomeriggio sarà il turno delle “buone pratiche” e dei progetti di intervento educativi.

L’appuntamento culturale si rivolge a studenti, insegnanti, educatori e operatori sociali, quotidianamente impegnati in percorsi per l’affermazione dei valori di legalità nelle giovani generazioni. Nel mettere a fuoco alcune emergenze educative attinenti alla cultura giovanile, con le connesse implicanze sul piano della legalità, il convegno si propone di approfondire aspetti strategici che investono i capitoli delle “alleanze intergenerazionali” e delle responsabilità socio-politiche in rapporto ai giovani. In definitiva, la giovinezza si configura sempre più come fase cronologica complessa e problematica, ma di straordinario valore, nella quale la persona ha tempi e modi, ove le condizioni le siano favorevoli, per accrescere l’autonomia, progettare e orientare la propria vita in modo umanamente significativo. In tal senso, questo stadio dell’esistenza diviene una sfida indifferibile che interpella a pieno titolo l’educazione. Ad essa, pertanto, occorre accostarsi senza pregiudizi, con desiderio di comprenderne le complesse dinamiche, in spirito di dialogo aperto e costruttivo.