A 25 anni dalla convezione Onu sui diritti dei bambini è l’infanzia a subire di più l’impatto della recessione economica. È l’aspetto allarmante dell'Indagine conoscitiva sulla povertà e il disagio minorile elaborato dalla Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza. Sono 6 milioni i bambini e gli adolescenti che in Italia vivono in condizione di povertà; di questi 1,4 milioni addirittura in povertà assoluta, raddoppiati negli ultimi due anni. Ragazzi che non possono permettersi un pasto proteico ogni due giorni, che conoscono la fame.

È il dato più grave dal Dopoguerra, come confermano le indagini di Unicef e Save the Children: il nostro Paese è agli ultimi posti in Europa per benessere infantile. Gli effetti di questo svantaggio economico si ripercuotono maggiormente al Sud e nelle periferie urbane, ma si manifestano anche in Emilia, dove il calo di iscrizioni ai nidi e alle scuole dell’infanzia aumenta le disuguaglianze sociali e culturali.

Con questa denuncia, lanciata da un comunicato inviato da Vanna Iori, docente di Scienze dell’Educazione in Cattolica e ora deputato alla Camera, si è aperto il convegno: “Rigenerarsi in tempo di crisi. Le potenzialità del welfare generativo”, che si è tenuto il 4 maggio nella sede di Piacenza dell’ateneo, per iniziativa delle facoltà di Scienze della formazione e di Economia e Giurisprudenza. Dopo i saluti dei presidi Luigi Pati e Anna Maria Fellegara e del sindaco Paolo Dosi, la professoressa Elisabetta Musi ha introdotto i lavori evidenziando il ruolo strategico della formazione per preparare educatori e operatori sociali che sappiano attivare nuove forme di reciprocità.

Per affrontare infatti l’emergenza socio-economica che stiamo vivendo, occorre adottare approcci innovativi di welfare, in grado di ristabilire i principi costituzionali di equità e giustizia, oltre - e non in contrapposizione - alle tradizionali politiche di aiuto. Questo il senso dell’intervento di Tiziano Vecchiato, direttore della Fondazione Zancan, uno dei massimi esperti nazionali di welfare generativo. «Serve un nuovo paradigma di welfare che sia in grado di passare dai diritti individuali a diritti a corrispettivo sociale - ha spiegato il sociologo -. Si tratta di responsabilizzare gli aiutati nel contribuire al bene proprio e della comunità, valorizzando le proprie capacità in modo da rigenerare il valore delle risorse investite, a beneficio di tutti».

Ma come è possibile promuovere valore sociale, chiedendo ai beneficiari di fare un uso più responsabile delle risorse, così da rigenerarle anche con lavoro a totale rendimento sociale? «Singoli e soggetti collettivi hanno la possibilità di contrastare un assistenzialismo che toglie capacità e dignità. Le autonomie locali, poi, possono essere trasformate in solidarietà locali, strutturalmente e tecnicamente finalizzate al massimo rendimento di bene comune».

Le cosiddette “buone pratiche” non mancano, per quanto si tratti di interventi non ancora messi a sistema. Ad esemplificarle è stato Gino Mazzoli, psicosociologo ed esperto di processi partecipativi, delineando un metodo di lavoro che può essere sintetizzato in alcuni punti.

«Occorre: 1. Generare nuove risorse corresponsabilizzando cittadini e forze della società civile, con un ruolo di regia del pubblico inteso come broker di territorio, capace di accompagnare la crescita di nuove risposte e di favorirne l'autonomia all'interno di un mercato sociale co-costruito e co-gestito da pubblico, privato sociale, cittadini attivi e imprese. 2. cercare collaboratori (più che utenti) con cui gestire i problemi (vicini di casa, vigili urbani, gestori di esercizi commerciali…). Più che una proliferazione di operatori sociali (del resto impossibile per la diminuzione delle risorse finanziarie) è importante sviluppare attenzioni psicosociali fra gli attori che gestiscono quotidianamente grandi quantità di relazioni con i cittadini. 3. andare verso i soggetti vulnerabili che hanno vergogna a mostrare le loro fragilità, anziché attenderli in qualche servizio. 4. passare dall’ “io” al “noi”, favorendo la costruzione di contesti in cui sia possibile un'elaborazione collettiva dei disagi individuali, spesso ancora non consapevolmente formulati come richieste o problemi, aiutando a generare risposte a quegli stessi problemi».

Luciano Schiavone, direttore del Settore Welfare della Città metropolitana di Milano, ha aperto la seconda parte del seminario, coordinata da Barbara Barabaschi, ricercatrice di Economia, e dedicata a declinare la riflessione in pratiche. È stata sottolineata l’importanza della governance locale nel promuovere, coordinare e accompagnare laboratori di nuova sperimentazione sociale.

Dedicato alla descrizione delle esperienze avviate e di iniziative in via di attivazione è stato l’intervento di Stefano Cugini, assessore al nuovo welfare di Piacenza, che ha mostrato come la città e l’amministrazione locale siano pronte a sperimentare nuove forme di convivenza democratica e solidale.

A chiudere i lavori il vicesindaco Francesco Timpano, assessore alla promozione e sviluppo del territorio e docente di Politica economica all’Università Cattolica, che ha ricordato il ruolo cruciale del welfare nello sviluppo economico e sociale di un territorio: «Gli enti locali hanno il compito di dare risposte ai bisogni dei cittadini, tramite iniziative innovative quali quelle riconducibili al welfare generativo, in grado di superare il problema della scarsità di risorse, e aumentando il rendimento di quelle disponibili».