Il saluto commosso del professor Mario Taccolini, rivolto prima di tutto «all'amico», Carlo Annoni, professore di Letteratura italiana scomparso a dicembre dello scorso anno, ha aperto il seminario organizzato dal dipartimento di Scienze storiche e filologiche della Facoltà di Lettere e filosofia per ricordarne la sua figura e l’attività di insegnamento che ha svolto per molti anni a Brescia.

I colleghi e amici hanno voluto rendere omaggio alla figura del professore, delineandone un ritratto personale. Il milanese Carlo Annoni, che aveva frequentato Mario Apollonio, conosceva più di qualsiasi altro docente la cattolicità bresciana e il suo contesto, come ha spiegato lo stesso Taccolini: la sua collaborazione con la rivista «Humanitas», e con gli editori Morcelliana e La Scuola, gli consentì di sviluppare una «singolare prossimità riguardo alla tradizione bresciana» e «un radicato senso di appartenenza alla realtà bresciana».

Anche il professor Marco Corradini si è soffermato sull’attaccamento dimostrato all’ambiente bresciano, rammentando la sua disponibilità a entrare in contatto con tutti, dal personale agli studenti; quindi ha parlato del suo rapporto personale con il maestro, vissuto in totale libertà. «La vocazione di Carlo non era votata alla didattica pura, come per Apollonio - ha spiegato Corradini -; Annoni era un docente molto esigente e poco paziente, dotato anzitutto di una cultura vastissima»: aveva nozioni di musica, di arti figurative, di teatro, di cinema, dovute a una spiccatissima curiosità.

Andrea Canova ha parlato di Annoni come «gentiluomo e uomo libero», soffermandosi sul suo forte legame con gli studenti, mentre Giuseppe Lupo ha ricordato i viaggi in treno tra Brescia e Milano, in particolare il momento di silenzio che si doveva fare quando si attraversava il Lambro per contemplare il fiume della sua terra; l’attaccamento alle proprie origini era molto sentito da Annoni; la periferia da cui proveniva lo teneva legato agli ambienti rurali, vicini e insieme lontanissimi, della sua Brianza.

Un altro dettaglio inconfondibile è riaffiorato: l’abitudine che aveva il professor Annoni di ripetere sempre la penultima parola pronunciata, come per fissarla nella mente degli ascoltatori e rallentare così i ritmi del discorso, quel vizio peculiare che Lupo, parlando di una sorta di filosofia del linguaggio, ha definito «il ballo della penultima». La teoria dell’oratore che ferma l’attenzione sul momento che precede tutte le conclusioni è stata ricondotta dallo scrittore a una massima non trascurabile: «Più che fare attenzione alle cose ultime, bisogna fare attenzione alle cose penultime».

Giuseppe Langella, dopo avere ricordato che Carlo Annoni è stato anche un contemporaneista, ha rievocato un paio di aneddoti legati alla propria esperienza di studente universitario. Langella ha ricordato anche la straordinaria sete di condivisione di Annoni, le sue telefonate agli studiosi e agli studenti per comunicare le proprie scoperte, le proprie riflessioni, «perché la cultura - ha spiegato l’oggi docente ordinario - si fa con la condivisione», e la cultura per Annoni non si poteva restringere a un solo ambito di studio, ma era composta da tutti gli ambiti della vita.

A ricordare il lascito di Annoni in qualità di studioso sono intervenuti due suoi giovani allievi: Cristina Cappelletti che ha ripercorso gli studi settecenteschi di Annoni attraverso tre esempi di lettura, idealmente intitolati «La principessa, il giovin signore e la donna del miracolo», mentre Ottavio Ghidini si è concentrato sugli studi manzoniani di Annoni.