Nel corso dei secoli, molti autori hanno tentato di cogliere l’essenza dell’umano, ma solo pochi si sono avvicinati al tema con la stessa profondità e lungimiranza di Franz Kafka. Di questo si sono sicuramente accorti i numerosi partecipanti al primo incontro dell’ottava edizione di Letteratura&Letterature, giovedì 31 ottobre nell’aula Magna Tovini dell’Università Cattolica. Il ciclo di conferenze, intitolato Letteratura e Teatro e coordinato da Lucia Mor, si è aperto con l’intervento di Luca Micheletti, attore e regista bresciano, che ha voluto presentare al pubblico la sua personale rilettura e messinscena de La metamorfosi, in programma

Già al suo esordio, l’opera destò interesse e curiosità, ma anche grandi dubbi interpretativi. Persino il colto direttore di banca Siegfried Wolff, uno dei primi lettori di Kafka, si rivolse all’autore per chiedere spiegazioni sul senso della Metamorfosi. Oggi sappiamo che Wolff non ebbe alcuna risposta da Kafka; il pubblico bresciano, invece, ha potuto trovarne una nelle parole di Luca Micheletti.

Il protagonista de La metamorfosi è il giovane Gregor Samsa, il quale, svegliatosi una mattina, si accorge di essersi trasformato in un insetto. Incredula di fronte al cambiamento, la sua famiglia si rifiuta di riconoscere Gregor in un insetto dall’aspetto terrificante e incapace di comunicare con il mondo esterno. La reazione della famiglia sfocia in un maltrattamento della “creatura” che nasce dall’incapacità di accettare la sua alterità. Senza nemmeno l’aiuto della famiglia, per Gregor la vita diventa sempre più insopportabile, tanto che aumenta in lui il desiderio di morire, unica possibile fuga dalla gabbia in cui si trova rinchiuso.

Ed è proprio su questa alterità, o meglio su questa disabilità, che pone l’accento la messinscena di Luca Micheletti. Il regista ha spiegato il significato che per lui assume l’essere diverso, che non corrisponde inevitabilmente alla disabilità comunemente intesa, bensì ad un’altra forma di abilità: in questo consiste l’essere diversamente abili, anche se spesso il mondo circostante non riconosce il potenziale positivo della diversità. A questo riguardo, determinanti sono i personaggi femminili: la madre e la sorella. La prima, che non riconosce l’alterità del figlio, ma ne implora pietà, è – come ha precisato Micheletti – l’incarnazione di una speranza delusa. Le cure della seconda, invece, rientrano in un percorso di disaffezione che disdice ogni illusione caritatevole. Le sembianze da insetto simboleggiano la condizione di escluso in cui versa Gregor, la cui stessa plausibilità di esistere viene messa da parte nel momento in cui la sua evidente alterità non è accettata. Così l’insetto diviene metafora di un’esistenza diversa, presunta esistenza non-umana, quando in realtà proprio la famiglia di Gregor non mostra il minimo gesto di umanità nei suoi confronti.

Come ha sottolineato il regista, gli uomini – o quasi uomini – kafkiani si trovano di fronte ad una porta socchiusa che da soli non riescono ad aprire, ma che potrebbero aprire con l’aiuto dell’uomo. Per aprire quella porta, gli uomini chiedono aiuto, gridano il loro bisogno, ma spesso, troppo spesso, la loro voce è soffocata dall’insensibilità di chi, sordo nell’anima, non riesce a sentire il richiamo dell’uomo all’uomo. Questa è la disabilità più grave: l’incapacità di rispondere al grido di aiuto di chi, come Gregor, avrebbe potuto spalancare quella porta, se solo qualcuno non gliela avesse chiusa in fronte. Partendo da questa riflessione, La metamorfosi di Luca Micheletti vuole essere un’esperienza teatrale che si apra al dibattito etico in un contesto come quello teatrale che per sua vocazione è predestinato ad essere il “regno conturbante di tutte le metamorfosi”.