Realizzare un asilo, un centro di formazione per educatori e social worker e due campi sportivi da calcio e da pallavolo tra i container del quartiere di Ainkawa 2 a Erbil è il progetto concreto che l’Università Cattolica insieme a FOCSIV sta realizzando nella regione autonoma del Kurdistan.
Un anno fa oltre tre milioni di persone, costrette ad abbandonare le proprie abitazioni, sono state costrette a rifugiarsi in aree dove, seppure in condizioni disagiate, non subiscono la violenza della guerra. In particolare circa 6000 rifugiati sono stati accolti nel quartiere di Ainkawa 2 costituito da 1000 container messi a disposizione dalla Chiesa locale, grazie alla presenza attiva dell’arcivescovo caldeo di Erbil Bashar Warda (nella foto con Cristina Castelli), e con il contributo del governo che ha dotato gli alloggi di luce e acqua.
I rifugiati in questo campo sono in maggioranza cristiani caldei e siriaci, altri sono sunniti e sciiti moderati, e 48 famiglie Yazidi. L’area, attrezzata per la mera sopravvivenza, non dispone di spazi comuni e protetti dove riunirsi, confrontarsi o semplicemente sostare al di fuori dei 20 metri quadrati dove ogni nucleo dorme e mangia. Inoltre le condizioni di vita già disagiate sono rese ancora più difficili dal caldo soffocante dei mesi estivi.

In questo contesto l’obiettivo dell’Università Cattolica, attraverso il Centro di Ateneo per la solidarietà internazionale (CESI) e del master in “Relazioni d’aiuto in contesti di sviluppo e cooperazione nazionale e internazionale” diretto dalla professoressa Cristina Castelli, è il recupero del benessere psicofisico dei minori all’interno di spazi accoglienti e confortevoli dal punto di vista psicologico ed emotivo.
Infatti l’invasione delle città e dei villaggi da parte dell’Isis è stata accompagnata dalla distruzione di case, di servizi urbani e di infrastrutture, nonché da violenze e crudeli uccisioni che hanno causato profondi traumi nei sopravvissuti. Lo stress vissuto da queste famiglie sta raggiungendo livelli pericolosi sia in termini di comportamento che di capacità di apprendimento.
Soprattutto per i bambini e i giovani è necessario con urgenza fornire e attrezzare spazi sicuri e accoglienti dove attivare momenti di animazione, di ascolto, incontri di sensibilizzazione e di condivisione di regole anche con i membri adulti della comunità degli sfollati per migliorare la loro attenzione nei confronti dei minori.

Dopo una prima ricognizione e analisi dei bisogni, i prossimi passi si muoveranno nei mesi di luglio e agosto quando due diplomati del master andranno a Erbil come formatori per attivare il progetto. L’asilo che verrà costruito (il terreno nella foto) accoglierà due turni di 60 bambini dai 4 ai 6 anni, non coprendo le necessità di tutti ma dando un primo importante contributo. I campi sportivi, rispettivamente per i maschi quello da calcio e per le femmine quello da pallavolo, saranno il primo luogo di aggregazione e di svago per i giovani. Su entrambi i fronti gli educatori dell’ateneo formeranno 15 social worker  volontari, insegnanti deputati alla presa in carico dei minori e allenatori per le squadre, identificati tra le persone sfollate ospiti del campo.
La seconda fase del progetto nel prossimo autunno sarà destinata alla formazione specifica dei tutori di resilienza assistita, secondo il modello da anni sperimentato dall’Unità di ricerca sulla resilienza dell’Ateneo.
L’intervento degli operatori mira a ottenere un potenziamento delle capacità di elaborazione del trauma, a incrementare il senso di sicurezza e del benessere psicofisico nei bambini e nei giovani, e ad acquisire competenze teoriche e pratiche psico-sociali relative ai processi di resilienza e professionalità nel campo educativo nei social worker.