Paradossale, inquietante, indecifrabile: in una parola, kafkiano. Come il racconto La metamorfosi (Die Verwandlung) dello scrittore austro-ungarico di lingua tedesca, cecoslovacco a partire dal 1918, considerato tra le maggiori personalità letterarie del XX secolo. Senso di smarrimento e di angoscia di fronte all’esistenza pervadono l’opera di Franz Kafka (1883-1924) così profondamente da aver influenzato diversi linguaggi espressivi e vari ambiti culturali fino ai giorni nostri, dalla letteratura al cinema, dal fumetto al teatro, riconfermandosi sempre quale inesauribile e attuale fonte di riflessioni e di approfondimenti.

La sua opera è stata al centro del convegno “La metamorfosi di Franz Kafka fra teatro, cinema e letterature”, organizzato dalla facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere dell’Università Cattolica in collaborazione con il Ctb-Teatro Stabile di Brescia e con il patrocinio del Centro Ceco e del Forum Austriaco di Cultura di Milano. Le due giornate di studio, svoltesi il 27 e 28 febbraio nell'Aula Magna “Giuseppe Tovini” sotto la direzione scientifica di Lucia Mor, sono state un'occasione di studio e approfondimento su uno scrittore e un’opera che hanno saputo trascendere la propria epoca e che, ancora oggi, riescono a parlare e a far parlare l’uomo moderno, spesso smarrito, ma in fondo perennemente attratto dalla sue infinite metamorfosi. All'iniziativa hanno preso parte docenti e studiosi provenienti da diverse realtà accademiche, che hanno proposto un viaggio nel tempo e nello spazio, sviluppando il tema da diverse prospettive.

Il profilo letterario di Kafka è stato ritratto da Luca Crescenzi (Università degli Studi di Pisa), che ha presentato lo scrittore come un perfezionista incontentabile che nelle pagine dei suoi scritti non esaurisce tutte le potenzialità intrinseche nelle idee e nei personaggi da lui creati: un maestro del dubbio che, senza apparenti giustificazioni, propone situazioni impossibili, in cui i protagonisti (e i lettori) attendono, forse invano, lo svelamento del significato delle “maschere di cui l’io si adorna quando parla di sé”.

La metamorfosi non poteva lasciare indifferente il mondo del cinema che ha prodotto un’interessante filmografia tratta dal racconto di Kafka. Come ha spiegato Matteo Galli (Università degli Studi di Ferrara), si tratta di trasposizioni cinematografiche, in cui i registi accettano la sfida di rappresentare, talvolta solo metaforicamente, la trasformazione del protagonista Gregor Samsa, ricorrendo a tecniche come il narratore extradiegetico o a particolari inquadrature.

In Kafka è ravvisabile anche una marcata gestualità teatrale, sviluppata dall’autore grazie all’incontro nel 1911 con gli attori yiddish che si esibivano nel quartiere ebraico di Praga. Guido Massino (Università degli Studi del Piemonte Occidentale) ha spiegato quanto lo scrittore abbia imparato dal mondo yiddish a mettersi in gioco totalmente, senza calcoli né riserve, sapendo che quel negativo che non si può combattere si può almeno rappresentare.

Proprio la gestualità teatrale è il mezzo espressivo scelto da Luca Micheletti, attore e regista bresciano, che ha curato la drammaturgia dello spettacolo La metamorfosi, con il quale ha debuttato in prima assoluta il 18 febbraio 2014 al Teatro Santa Chiara di Brescia. La messinscena di Micheletti, dalla quale è stato tratto lo spunto per il convegno su Kafka, si propone come progetto culturale attraverso un teatro di corpi che pone al centro della scena chi spesso è tenuto fuori dalle scene della vita quotidiana, ossia il disabile, colui che ha già compiuto una metamorfosi e si trova in un habitat inadatto ad accoglierlo e comprenderlo, dove la sua richiesta d’aiuto prorompe in un’oscura e magnetica lotta per la libertà.

Il topos della metamorfosi ricorre in tutta la storia della letteratura: il percorso proposto da Guido Milanese (Università Cattolica) ha preso in esame le metamorfosi descritte nell’Inferno dantesco con riferimento ai modelli di Virgilio e Ovidio, approdando a una più ampia riflessione sull’atto generativo, l’identità e la trasformazione della natura umana, ispirata anche ai testi di T.S. Eliot.

Cosa significhi esattamente il termine “kafkiano” resta una questione aperta. Al di là di qualsivoglia accezione semantica, è singolare il fatto che da Kafka sia derivato un aggettivo entrato in uso in numerose lingue, talvolta con varianti che alludono a precise sfumature di significato, come ha precisato Giovanni Gobber (Università Cattolica): particolare è il caso del tedesco che ricorre a più termini (kafkaesk, kafkaisch, kafkaid), prova degli inesauribili sensi che l’autore e la sua opera possono assumere.

Gli scritti di Kafka tematizzano inoltre la difficoltà del singolo a relazionarsi con le autorità e a districarsi nel labirintico mondo della burocrazia: in ambito letterario, questa dimensione si riflette nei cosiddetti “kafkismo lirico” e “kafkismo sociologico”. Giuseppe Lupo (Università Cattolica) ne ha indagato il senso di precarietà e di frustrazione che permea parte della letteratura industriale italiana del Novecento, in cui non è sempre chiaro se a svolgere la parte dell’insetto schiacciato siano i servi o i padroni.