Cosa fa della vita una “vita umana”? Si è aperto con questo interrogativo il secondo incontro del ciclo “Child always first - Il bambino malformato: errore della creazione?”, promosso dal Centro di Ateneo per la Vita, dalla Scuola di Specializzazione in Pediatria dell’Università Cattolica di Roma, dal Dipartimento per la tutela della salute della donna, della vita nascente, del bambino e dell’adolescente del Policlinico Universitario “Agostino Gemelli” e dal Centro Pastorale della sede di Roma.

Dopo i saluti d’accoglienza del direttore del Centro Massimo Antonelli, Giuseppe Zampino, coordinatore e moderatore dell’incontro, ha posto interessanti e fondamentali questioni ai tre rappresentanti delle religioni monoteiste intervenuti: il rabbino capo Riccardo Di Segni, il segretario del Centro islamico culturale d’Italia Abdellah Redouane, il vice rettore della Pontificia Università Urbaniana Lorella Congiunti. Ne è nato un interessante confronto, filosofico e interreligioso, sui temi etici e clinici della vita debole, fragile e indifesa, con uno sguardo particolare sulle malformazioni infantili.

«Questi temi colpiscono al cuore la sensibilità delle religioni - ha esordito Riccardo Di Segni. Il Dio biblico non è soltanto il Creatore del mondo, ma è presente e interviene nella storia e agisce nella vicenda umana. Per questo, l’uomo si chiede continuamente qual è la ragione e soprattutto il senso della sofferenza. La risposta è difficile, ma possiamo avvicinarci a una comprensione ponendoci nella logica di Dio: non c’è nulla di inutile, di sbagliato e fuori luogo nell’umanità, anche quello che per noi è un errore e che fatichiamo ad accettare e a capire. Anzi, questo per noi diventa una sfida: un’occasione e uno sforzo di fede».

«La malattia richiede spiegazioni che si integrano - ha dichiarato Lorella Congiunti . Non è umano solo ciò che si dimostra con i propri atti, l’umanità dell’essere vivente si riconosce perché “nativa”: ogni figlio d’uomo è umano, qualunque cosa faccia o non faccia, grazie alla sua fisicità, anche quando essa è dolorosa e deforme. Essere umani implica anche la sofferenza; è per questo che la sapienza delle religioni è ancor più utile della filosofia: la sofferenza è un mistero che chiede di essere ascoltato e accolto».

«Il fedele, l’uomo, la persona sofferente - ha aggiunto Abdellah Redouane - accetta umilmente la volontà di Dio, anche se essa rimane spesso incomprensibile e impercettibile per il credente. Un bambino malformato, una persona sofferente sono una prova per le creature. Il percorso di vita di ciascuno di noi è segnato da eventi dolorosi e i disabili, i malati, i malformati sono parte essenziale della vita di una comunità: essi offrono l’occasione di esercitare la carità e la fratellanza».

Il dono di uno sguardo nuovo: questo il filo che ha legato tutti gli interventi. È proprio ciò che è deforme che ci insegna a essere umani poiché ci insegna la gratuità. «Il vero miracolo - ha concluso Congiunti - non è la guarigione fisica, ma il nostro “saper vedere”, rovesciando le categorie della cecità». «Gli Ospedali sono luoghi della speranza - ha detto Redouane - in essi si deve continuamente cercare la migliore terapia, ma sempre con uno sguardo caritatevole e veramente umano sui sofferenti». «Il mondo ci è stato dato - ha concluso Di Segni - perché potesse essere “aggiustato”, migliorato da noi. Ci sono cose che non si possono “aggiustare”, non si possono migliorare, ma possono essere accompagnate, curate, lenite; e questo si può solo attraverso amore, misericordia e solidarietà. Anche un neonato “normale” quando nasce e cresce è la persona più indifesa del mondo: un bambino malformato ha ancora più bisogno di protezione ed è ancora di più, per tutti, un’occasione di amore».