Si può ricordare Nelson Mandela in molti modi a un anno dalla morte. Quello che ha scelto la facoltà di Scienze politiche e sociali nella lezione-aperta di giovedì 4 dicembre è un punto di osservazione molto particolare: il problema di come “fare giustizia” in un Paese come il Sudafrica che ha subito per anni la violenza dell’apartheid e ha intrapreso, grazie alla carica profetica del suo leader, un cammino di riconciliazione per chiudere, per quanto possibile, le ferite della storia e creare dei tanti un popolo solo. Una scelta che, nel riparare il danno recato alle vittime, ha amnistiato i colpevoli purché facessero piena verità sulle proprie responsabilità.

Una giustizia senza pena, forse scandalosa, spiega Claudia Mazzucato, docente di diritto penale della facoltà, a cui è stata affidata la lezione-aperta e il compito di esplorare l’unicità della transizione sudafricana dal regime segregazionista verso la democrazia, prendendo spunto dalla figura “profetica” di Nelson Mandela.

Cosa ha di particolare questo processo di democratizzazione? «Il Sudafrica ha offerto al mondo intero un modello esemplare, del tutto innovativo, di risposta alle gravi violazioni dei diritti umani inerenti al sistema dell’apartheid. Con la Commissione Verità e Riconciliazione - la Truth & Reconciliation Commission (TRC) -, si è soffermato sui crimini commessi durante l’apartheid grazie a una poderosa, straordinaria e sofferta opera collettiva di comprensione del passato tragico e violento del Paese, attraverso l’ascolto di migliaia di storie personali delle vittime e altrettante narrazioni dei fatti da parte dei perpetrators».

Che percorso ha intrapreso per “fare giustizia”? «La TRC, con i suoi tre comitati (sulle violazioni dei diritti umani, sulle riparazioni e la riabilitazione delle vittime, sull’amnistia) ha optato per un difficile sistema di giustizia giocato sulla verità (parola che fa tremare le vene e i polsi), anziché sulla ritorsione punitiva: con un meccanismo che non aveva allora precedenti, la TRC lavorava offrendo, da un lato, alle persone offese spazi protetti di ascolto del racconto delle atrocità subite e offrendo, dall’altro, ai colpevoli l’amnistia a seguito della piena trasparenza sulle proprie responsabilità in ordine ai crimini politicamente motivati».

Una giustizia senza punizione, dunque. «Una giustizia, se vogliamo, scandalosa: insieme mite e drammatica; piena di ideali, eppure ben salda nel pragmatismo di una soluzione che doveva riuscire a non dividere ancora, a non separare di più, a non segregare, ora, i colpevoli a opera delle vittime».

Una scelta forte e difficile. «È una giustizia inedita, mossa dalla necessità pratica - ben colta dalla lungimiranza politica di Nelson Mandela, di Desmond Tutu e di altri - di vincere una volta per tutte la scommessa che la nazione delle molte lingue, culture, religioni ed etnie (bianchi, neri, colored, indiani) potesse finalmente pensarsi e viversi come un popolo».

Su cosa si concentrerà la lezione-aperta? «Il focus della lezione è penalistico, ma l’esperienza della Commissione Verità e Riconciliazione sudafricana si offre, per fascino e interesse, a una riflessione “di fondo” intorno al tema della giustizia: alla sua capacità, a seconda di come è pensata e realizzata, di unire o dividere. Di assomigliare al male che vuole combattere o di discostarsene, affermando qualcosa di costruttivo. Di liberare dalla disumanità, come ebbe a scrivere Mandela, tanto gli oppressi quanto gli oppressori, nella consapevolezza che - è ancora Mandela a ricordarlo - tutti gli esseri umani, anche i più spietati, hanno in sé, se il loro cuore è toccato, la capacità di cambiare».  

Cosa insegna a noi la vicenda del Sudafrica e del suo “profeta”? «La storia di Nelson Rolihlahla Mandela, l’«attaccabrighe» che diviene uomo di legge, poi fuorilegge, infine “legislatore” che edifica un modello di giustizia così drammaticamente fecondo, eppure così scomodo per le nostre troppo facili certezze punitive, ci scuote e ci interpella con un’attualità che i terribili fatti di Ferguson o di Tor Sapienza rendono solo più urgente, viva e vicina».