“Scienza, tecnologia e esplorazione”, queste le tre parole chiave intorno a cui è ruotato l’incontro con l’astronauta italiano Luca Parmitano, che si è tenuto in Cattolica a Piacenza per il  ciclo  “Let’s book”.

Intervistato dalla responsabile relazioni esterne e comunicazione della sede Sabrina Cliti, e dalla professoressa della facoltà di Economia e Giurisprudenza Franca Cantoni, l’astronauta ha esplorato il senso del meraviglioso, di fronte a un pubblico di oltre 200 persone, soprattutto giovani.

«Mi piace pensare che i sogni debbano essere irraggiungibili», ha detto Parmitano. Eppure sembra proprio che il suo si sia realizzato: nel 2013 infatti ha passato 166 giorni nella base Spaziale Internazionale, dove ogni atto normale e quotidiano, come lavarsi i denti o mangiare, diventava extra-ordinario. «Quello che facciamo in orbita è “ricercare”: studiamo i limiti per poterli superare. Ecco perché definisco la  tecnologia spaziale “sperimentale”, perché non è già certa o definita, ma può e deve essere migliorata».

E la tecnologia, insieme alla scienza, è fondamentale per l’esplorazione futura: «Parlando di esplorazione viene in mente Ulisse, l’uomo che lascia l’impronta sulla sabbia di una nuova spiaggia. Il senso dell’esplorazione è insito nella natura dell’uomo, che vuole sempre andare oltre. Anche se nel caso dello spazio, l’”oltre” è infinito».

Un senso di infinito che non ha spaventato Parmitano: «La paura? Certo che l’ho provata, mente chi dice di non averne mai. Ma credo che la paura dell’ignoto possa essere sconfitta molto semplicemente: accendendo la luce, e la luce è la conoscenza, l’addestramento a cui si è sottoposti per essere in grado di riconoscere i problemi e di superarli senza paura». Vale nello spazio e vale nella vita. «Essere preparati, studiare, impegnarsi, questo aiuta ad affrontare, l’imprevisto l’ignoto e a superare la paura».

Venti minuti di video hanno poi accompagnato i commenti di Parmitano sulla vita in orbita, sulle scoperte realizzate. E sulla meraviglia indicibile, su quell’emozione indescrivibile di vedere la terra dal cielo. «Per raccontare ciò che ho vissuto servono parole nuove, come sempre quando l’uomo incontra l’ignoto».

Nostalgia della vita nello spazio? «Certo!, sarei pronto per ripartire subito. Per gli astronauti la cosa più difficile al rientro e gestire il “Now  What? Effect”, quel  senso di smarrimento misto a nostalgia che gli astronauti provano dopo aver trascorso mesi confinati in uno spazio ristretto, in assenza di gravità, lontanissimi da casa, dalla terra, dagli affetti, ma proiettati in un “universo” rarefatto, dove tutto è concentrato, intenso, scandito da routines precise e puntuali volte ad effettuare ricerche ed esperimenti per capire ‘fino a dove l’uomo può arrivare».
 
Parmitano gestisce questa nostalgia cercando nuove sfide, nuovi ostacoli da superare: «E la vittoria non sta nel vincere le sfide, ma nell’averci provato».