Da Saint’Exupery con Terre des Hommes ai Promessi Sposi di Manzoni, fino alle opere di un autore oggi quasi dimenticato come Erich Maria Remarque, Tempo di vivere, tempo di morire e La via del ritorno - libri che Domenico Quirico aveva con sé durante il sequestro in Siria - durante l’incontro del 17 marzo rimbalzano, tra una battuta e l’altra del discorso, citazioni, autori e titoli della letteratura italiana ed europea. E proprio ai libri è intitolato un intero paragrafo del racconto firmato dal giornalista sulla “Stampa” all’indomani della sua liberazione, il 10 settembre 2013: lo stesso racconto che aveva impressionato Giovanni Gasparini per l’incredibile commistione di male e bellezza, fin dalle descrizioni di quel paesaggio incantato e maledetto: «il Paese del Male, dove il Male trionfa, lavora, inturgidisce come gli acini d’uva sotto il sole d’Oriente». Da subito la testimonianza, profonda e potente, del giornalista, si è fatta letteratura.

E questo accade perché, come ha notato Claudia Mazzucato - che in occasione dell’ultimo incontro del ciclo Per educare/educarsi alla Bellezza, ha dialogato insieme a Marco Lombardi con l’inviato della “Stampa” sequestrato in Siria del 2013 -, «le parole che aderiscono a un’urgenza prendono sempre la forma della poesia, perché la poesia svela o si propone di svelare la verità».

Prende immediatamente una piega poetica anche il racconto del giornalista ai numerosi studenti presenti in aula: «Il male spesso si traveste di bellezza: sono entrato in Siria il giorno prima di essere sequestrato, il 6 aprile 2013, per un sentiero di meli in fiore». Ed è così chiarita «la tentazione che ho avuto, appena ricevuto l’invito, di declinare in modo diverso il tema dell’incontro: non più la bellezza e il male, ma la bellezza del male». La bellezza è anche quella evocata dalla parola “Califfato”, che il giovane combattente associa immediatamente all’idea di una purezza che non ha storia: «La grana umana di chi decide di partecipare alla costruzione del Califfato è quella di chi cancella il passato, distrugge i codici su cui ha costruito la sua vita fino a quel momento e partecipa alla costruzione di un codice nuovo, come accade in tutti i totalitarismi».

«Quando ero prigioniero», continua il racconto, «sono stato nei luoghi in cui è nata la Storia, con le mani scavavo nella terra ed emergevano cocci e testimonianze di civiltà passate, quelle testimonianze che il totalitarismo distrugge. Per questo i giornalisti sono nel mirino, ma anche gli archeologi, perché la storia, la cronaca e il racconto sono per loro la più temibile delle accuse».

«La testimonianza di una vittima»: questo è per Claudia Mazzucato il racconto di Quirico, che aiuta a capire una situazione drammatica e complicatissima, ma pone anche una questione fondamentale: cosa succederà «dopo» in Siria? «L’idea di giustizia che di solito si mette in pratica in questi casi», spiega Mazzucato «è quella di una giustizia ritorsiva, ma la sfida sta nel riunire ciò che il male ha separato: il perdono riesce a fare dove non si può fare più niente». Di diverso avviso è Marco Lombardi, che di fronte a questa «normalizzazione del male» considera, provocatoriamente, necessario anche ipotizzare una guerra.

Aldilà delle posizioni di ciascuno, una testimonianza come quella, preziosa e sconvolgente, che il giornalista della Stampa ha concesso agli studenti, e ai numerosi docenti presenti, dell’Università Cattolica, è stata anche una lezione importante di giornalismo, se non addirittura di vita, di una vita responsabile, consapevole: «Esiste un male che si può combattere quotidianamente, perché il male è negli atti, ma soprattutto nelle omissioni: l’indifferenza, il cinismo sono il contrario del mio mestiere. Il male è quello che non facciamo, il non esserci, il non guardare; sarà un’idea infantile forse, ma è la mia idea».